Vela. Per non dimenticare: la vicenda Malesia-Israele resta d'attualità

Vela. Per non dimenticare: la vicenda Malesia-Israele resta d'attualità

Vela. Per non dimenticare: la vicenda Malesia-Israele resta d’attualità

Editoriale

13/10/2017 - 15:54

Spesso le notizie, passati i giorni caldi, finiscono nel dimenticatoio sostituite da nuove vicende, in genere altrettanto tristi. Non fa dunque eccezione la questione dei Mondiali giovanili di vela in Malesia della quale ci eravamo occupati, ripromettendoci di tornare sulla vicenda con un approfondimento, che troviamo giusto avvenga oggi, 27 gennaio, Giornata della Memoria. Non soltanto per dare il nostro piccolo contributo contro il ritorno, ormai evidente, dell’antisemitismo ma soprattutto contro ogni forma di discriminazione, non soltanto nello sport.

Prima di vedere gli ultimi sviluppi, un ragionamento di ordine generale e necessariamente politico, visto che lo sport viene evidentemente utilizzato da alcune nazioni islamiche come forma di pressione politica per isolare un'altra nazione. Informandoci sulla vicenda che ha coinvolto i velisti israeliani, ci siamo resi conto quanto sia diffusa la pratica di negare i visti agli sportivi israeliani da parte delle nazioni islamiche, le quali per altro non si negano convenienti rapporti economici con Israele attraverso terze parti. Ad esempio la Malesia importa da Israele, soprattutto attraverso Singapore, componenti elettronici che assembla per produrre computer ed elettronica di consumo.
Il mondo occidentale, seduto sulle proprie conquiste socioculturali si sente superiore e poco si cura del progetto politico espansivo del mondo islamico, se non quando assume le fattezze del terrorismo.

Chi scrive è giunto alla convinzione, collegando tra loro differenti informazioni disponibili in rete, che esista un ben preciso progetto degli stati islamici, forti della propria forza economica, legato allo sport in generale, da utilizzarsi come strumento politico. Non farebbe meraviglia se ai Mondiali di calcio del 2022 in Qatar – nel quadro di una situazione geopolitica che sarà certamente ben diversa da quella attuale – un presidente islamico della FIFA negasse a Israele la partecipazione. L’Occidente griderebbe allo scandalo, ma per realpolitik (e per denari sonanti) nessuno farebbe nulla, derubricando il cedimento ai principi fondamentali della nostra cultura a semplice concessione rispetto a un fatto marginale e simbolico, perché il valore economico di Israele appare impari rispetto a quello del mondo islamico (il quale porta con sé il concetto di entità statale teocratica). La vicenda dei due giovani windsurfisti israeliani, in scala ridotta, è la stessa: tutti a dire che non è giusto, che non si dovrà ripetere e poi? Nessun atto concreto.

Peggio: World Sailing ha emesso un comunicato nel quale promette sanzioni che sicuramente non applicherà mai, come un piccolo chihuahua che abbaia terrorizzato sperando di allontanare le sue stesse paure. Quando ai prossimi Youth Worlds in Oman o alla finale di World Cup di Abu Dhabi il problema si ripresenterà e se non dovessero scattare le sanzioni, ecco che gli emiri avranno la certezza controprovata di poter fare tutto quello che vogliono anche con gli sport maggiori. Semplice no? Ecco perché avrebbero dovuto essere erogate delle sanzioni alla Malesia, anziché dir loro: “Mi raccomando, che non si ripeta!”

La reazione di Gili Amir, il presidente della federvela di Israele (ISA) alla lettera di World Sailing è di forte delusione. Per l’ennesima volta Israele matura la convinzione di doversela cavare da solo in un mondo ostile, si ritrova suo malgrado a difendere i nostri principi per sostenere i suoi diritti “We are afraid that this is all politics and we only trust ourselves.”  Il testo completo, in inglese, è disponibile a questo link e vale la pena leggerlo integralmente.
http://m.jpost.com/Israel-News/Sports/Israeli-sailing-refuses-to-cast-its-fate-to-the-wind-with-global-events-442115#article=10363MDA4MUJGNkRBNjZBODRCNDI5N0U4Qjc2RTI2RERGQjg=

Com’era poi andata a finire la questione del tennistavolo? Ricorderete che il Mondiale della specialità (da noi ben poco diffusa, ma in Cina è di fatto lo sport nazionale) ha da tenersi prossimamente in Malesia e la squadra israeliana non aveva ancora ricevuto il visto a un mese dall’evento. La presidente ungherese della federazione mondiale tennis tavolo ha fatto la voce grossa promettendo sanzioni, ma alla fine è stata tolta d’impaccio. La squadra israeliana si è ritirata di sua iniziativa, formalmente non è colpa della nazione islamica ospitante. Come funziona il giochetto? Semplice: la nazione islamica dichiara di non poter garantire la sicurezza degli atleti israeliani. A questo punto le procedure di sicurezza di Israele impediscono ai suoi atleti di andare senza una scorta armata (comunque normalmente prevista in tutte le competizioni internazionali dopo i fatti di Monaco ’72) la quale non è ovviamente autorizzata a entrare nello stato islamico. Qui occorre segnalare che siamo nella classica situazione del cane che si morde la coda, visto che i servizi israeliani sono ben addestrati a “neutralizzare” nemici fuori dai confini e una scorta armata è la copertura ideale per questo genere di operazioni, che si sono già verificate. Se questa cosa può apparire fuori dal mondo, si pensi che si è sfiorato l’incidente diplomatico in un contesto ben diverso: la visita di Papa Francesco in USA. Le procedure americane nell’incontro con Obama prevedevano la perquisizione degli agenti della sicurezza (e il seguito) del papa …

Occorre dunque che le autorità nazionali organizzatrici di eventi sportivi internazionali siano in grado di garantire l’assoluta sicurezza degli atleti e che i rispettivi stati possano fidarsi l’uno dell’altro. Sarebbe l’opportunità per ribaltare i termini della questione e ritornare ad avere uno sport che unisce, ma pare lecito avere dubbi su tutto questo.

Giuliano Luzzatto
Twitter: @gluzzatto

©Riproduzione riservata

 

 

 

 

 

 

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