Luna Rossa: design, simulazione e presentazione

28/11/2022 - 10:59 in Sport by Luna Rossa

Le parole d’ordine nella progettazione del prototipo Luna Rossa (e del futuro AC75) sono: previsioni, prestazioni e controllo. Dalla carena alle vele, passando per foil, software meccatronici, piano di coperta e rig, tutto deve essere concepito, costruito e testato come il tassello di un puzzle: dovrà incastrarsi perfettamente con quelli accanto e contribuire a ottenere la massima resa complessiva in termini di performance. Il dipartimento di design è quindi un grande open space dove le persone lavorano in maniera sinergica, lasciando che le idee fluiscano incessantemente per giungere a una soluzione condivisa. Andres Suar (architettura navale), Andrea Vergombello (VPP) e Marco Capitani (Sail Design) ci spiegano come funziona:

È tutta una questione di “scale”

Architetto navale, Andres Suar si è occupato della progettazione dello scafo e dell’architettura navale generale del prototipo (farà lo stesso anche per il nuovo AC75). Per avere una visione complessiva, si interfaccia con chi fa simulazione sui computer dei fluidi aero e idrodinamici e con coloro che progettano le appendici, per essere sicuri che ci sia un equilibrio e che questo rappresenti bene l’AC75 finale. «Nel caso del prototipo, non appena pubblicata la Regola di Classe, siamo partiti dalla nostra visione dell’AC75 e su quella abbiamo scelto i pezzi che volevamo testare in scala» spiega. «La principale difficoltà è scegliere che cosa scalare: le onde, ad esempio, o le persone, non si possono “dimensionare”. Per questo è importante capire a monte che cosa ha senso testare e cosa, invece, si tradurrebbe solo in una perdita di tempo. Inoltre, è fondamentale avere chiaro che quello che noi vogliamo, non è testare lo scafo, ma che lo scafo risponda alle singole parti che vogliamo provare, sempre tenendo a mente che questa non è la barca che regaterà, ma quella che ci deve dare le informazioni che ci servono». Un altro problema sono le restrizioni imposte dal regolamento per il prototipo LEQ12: esiste una limitazione sulla lunghezza dello scafo e su quanto si può dimensionare, ma i limiti per albero e foil sono altri. «Questo significa che noi scaliamo i singoli pezzi in dimensioni diverse e poi lo scafo dovrà “farli funzionare”», prosegue. Figlio di una generazione dove i computer e i software sono assoluti protagonisti, il prototipo sarebbe potuto anche nascere su un vecchio tavolo da disegno, spiega Suar, seppur in forma semplificata: «Penso che dal punto di vista dell’architettura navale, si sarebbe anche potuto progettare alla vecchia maniera, perché valgono sempre i first principal dello yacht design; quello che non si può fare senza i software è andare nel dettaglio. Oggi grazie ai computer abbiamo un’idea di come andrà la barca, ma è la base concettuale che viene supportata dal software e non il contrario». I simulatori possono sostituire del tutto i test in mare? «No, il simulatore è un supporto fondamentale, ma non dice tutto».

© Giulio Testa

Il simulatore statico

Anche i target di velocità e angolo sono simulati al software, ma sarà sempre il mare a dare la risposta definitiva, come spiega Andrea Vergombello che, per Luna Rossa Prada Pirelli, si occupa di VPP (Velocity Prediction Program), quindi di previsione, prestazione e ottimizzazione fluidodinamica, con particolare attenzione ai profili idrodinamici di timone e wing. «Io entro in gioco subito, quando comincia la fase esplorativa della nuova imbarcazione», spiega l’ingegnere aerospaziale «e mi interfaccio un po’ con tutti i dipartimenti: architettura navale (per quanto riguarda la visione globale dell’imbarcazione), idrodinamica e aerodinamica. Per quanto riguarda il mio lavoro, dal punto di vista di sistema, interfaccia e input, non c’è molta differenza tra il prototipo e la barca grande, perché è solo una questione di scala che differisce. La parte più difficile è quando cominci ad andare tanto nel dettaglio, perché il modello deve essere molto raffinato per riuscire a catturare le minime differenze». Scopo di questo lungo e complesso lavoro è stabilire, grazie al VPP, come la barca riuscirebbe a performare in un mondo ideale in linea retta. «Il mio compito è fornire dei target come velocità e angolo, che poi il team utilizzerà in acqua», spiega. Il VPP, quindi, è un simulatore statico, una sorta di contenitore (dove confluiscono tutti i dati idrodinamici e aerodinamici dell’imbarcazione, incluso il peso), che, alla fine, converge a una soluzione statica. «In questo modo», dice Vergombello, «possiamo comparare vari elementi, cambiando singolarmente i pezzi dell’imbarcazione come ali, timone e vele e vedere quale combinazione funziona meglio e ottiene il miglior VMG (miglior avvicinamento alla boa di poppa e di bolina e quindi minor tempo di regata)». Il “cuore” del VPP è un software che Vergombello accoppia con altri strumenti di computazione idrodinamica e con i dati ricevuti dagli altri designer, primi fra tutti, i progettisti delle vele.

© Carlo Borlenghi

La vela perfetta tra forma e funzione

Marco Capitani e Juan Garay sono i responsabili del dipartimento di Sail Design per Luna Rossa Prada Pirelli; lavorano a fianco di Michael Richelsen (CFD Aero), Nicolas Carabelli (VPP) e Gwénolé Bernard (soft wing system e mast) e sono supportati, nel sail loft, da due velai di grande esperienza, Maximiliano Valli e Michele Bella. Il vento, alla fine è l’unico propulsore di un’imbarcazione a vela e l’AC75 non fa eccezione; per questo le vele sono una parte fondamentale di una campagna di Coppa America. Capitani è sail design di North Sails, la veleria USA che fornisce le vele a tutti i team di America’s Cup, nel rispetto di severi codici di riservatezza e segretezza. Da lui impariamo che disegnare la vela perfetta è l’obiettivo finale, ma non l’unico: bisogna saper gestire i tempi, ad esempio, considerando che tra la consegna del progetto e il giorno che verrà utilizzata in mare passano circa 6 settimane e bisogna anche avere una visione a lungo termine, per non restare a secco di “tela” nella finale delle Challenger Selection Series, o, peggio ancora, nel Match di America’s Cup. Quali vele tenere per ultime, quali usare prima? Sono tutte domande difficili cui solo persone di grande esperienza possono dare risposta. Nella scorsa edizione di Coppa è stata introdotta la “soft wing”, «costituita da due rande gemelle che scorrono parallele su un albero rotante con forma a “D” e più efficiente del 20 / 25% rispetto a una randa classica, perché la wing di sopravvento e quella di sottovento possono assumere forme diverse», spiega Capitani. «All’interno di queste due rande – nascosti da sguardi indiscreti ma anche dal vento per non offrire resistenza - si nascondono i sistemi che permettono di modificare la forma delle due membrane. È possibile l’utilizzo di sistemi attivi (quelli comandati direttamente dall’equipaggio), e passivi (come, ad esempio, il movimento dell’albero). Il regolamento della 37^ America’s Cup permette di utilizzare i sistemi attivi unicamente nella parte bassa della randa; in quella alta, invece, si potranno usare solo quelli passivi». Data la complessità di questo pacchetto aero, è normale che i velai si interfaccino costantemente con gli architetti navali, con chi progetta le appendici «ogni tipo di timone o di foil fa navigare la barca su un angolo differente, quindi le vele avranno forme e regolazioni diverse», con chi si occupa di strutture «per far sì che i carichi delle vele siamo supportati adeguatamente», con chi si occupa di sistemi di coperta, con gli esperti di meccatronica che dovranno far parlare tra loro i sistemi idraulici, quelli elettrici e quelli meccanici e, naturalmente, con i velisti «i nostri clienti finali», continua Capitani. Per quanto riguarda le limitazioni, il sail designer spiega che per il prototipo si possono realizzare un numero massimo di 13 fiocchi e 10 rande (quindi 5 soft wing); per l’AC75 saranno 15 fiocchi e 12 rande (6 soft wing). È consentito costruire un solo albero per il prototipo e due per l’AC75. Volanti e Code Zero non sono più previsti mentre il bompresso, di dimensioni più piccole, non sarà più strutturale, ma servirà come supporto per i sistemi media/elettronici. Ogni volta che Luna Rossa scende in mare, anche solo per gli allenamenti, i sail designer la seguono dalla barca appoggio. «Guardo la forma delle vele e contemporaneamente leggo i dati che vengono trasmessi sulle “flying shape”, per capire se performano come da previsioni progettuali o se bisogna modificare qualcosa», prosegue Capitani. «Poi, ovviamente, è fondamentale avere il feedback dai velisti per comprendere come regolarle alla perfezione per ottenere il massimo». Una volta a terra, le vele vengono controllate minuziosamente per verificare eventuali cedimenti, piegate e stivate per il giorno successivo. La vela ideale esiste? «Sì», risponde Capitani, «ma non si tratta solo di forma; la vela perfetta deve essere un mix tra forma, materiali, sistemi di controllo e struttura, altrimenti serve a poco…».

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