Il varo del Benetti FB 275 cui abbiamo assistito la scorsa settimana a Livorno nell’ex Cantiere Navale F.lli Orlando – dal 2003 di proprietà del Gruppo Azimut/Benetti– al di là della retorica che la cerimonia del battesimo del mare può suggerire, è stato realmente qualcosa di particolare. Non ci riferiamo tanto all’evento in sé, festoso, ben organizzato e baciato anche dalla splendida luce di una giornata tersa, ma per il significato che assume se letto in chiave yachting industry. Con il varo di giovedì scorso in soli 100 giorni il cantiere, che da 19 anni guida la classifica mondiale dei costruttori di unità da diporto oltre i 24 metri di lunghezza, ha messo in mare ben tre giga yacht, cioè tre navi extra lusso ciascuna oltre i 100 metri di lunghezza, un’operazione che coincide con i 50 anni di storia del Gruppo Azimut/Benetti.
Una cosa mai accaduta prima, un grande record, una grande soddisfazione per tutti coloro che hanno lavorato affinché questa impresa riuscisse, un grande segno di forza da parte del Gruppo guidato dalla famiglia Vitelli, patron Paolo e sua figlia Giovanna, e sostenuto dal finanziere Giovanni Tamburi attraverso la sua Tamburi Investment Partners, con una quota del 12%.
Poco prima del varo di Benetti FB 275, Paolo Vitelli ha riunito la stampa presente all’evento per una conferenza nella quale, affiancato dall’Ing. Franco Fusignani – amministratore delegato di Benetti Yachts, subentrato lo scorso agosto al posto di Vincenzo Poerio – ha voluto sottolineare l’importanza di quella che è stata definita la “giga season” di Benetti Yachts.
Costruire giga yacht non è facile, lo suggeriscono anche i dati forniti nella conferenza: 14.000 metri quadri complessivi di superfici verniciate; 940.000 metri lineari complessivi di cavi stesi; 770persone quotidianamente al lavoro; oltre 2 milioni e mezzo di ore di lavoro; 6400 mq di superfici arredate; 12.770 tonnellate di stazza (GT) complessive messe in acqua. Numeri che danno solo in parte l’idea di quanto sia stato imponente il lavoro e lo sforzo nel realizzare le tre navi insieme, sensazione che si percepisce forte però quando le barche le vedi lì, tutte a Livorno, due già in acqua e l’altra che sta per scendervi: tre colossi, uno spettacolo.
Paolo Vitelli ha affrontato una sfida, l’ennesima, ben più grande di quella che a suo tempo tentò Benetti, alla fine degli anni ’70 col Nabila di Adnan Kashoggi, con i suoi 86 metri di lunghezza e 2465 tonnellate di stazza, una barca “maledetta”, difficile, la cui costruzione portò il cantiere a una fine rovinosa, al fallimento. Ma Paolo Vitelli è uomo da grandi sfide, come quando, proprio dal quel fallimento prese e fece risorgere il nome Benetti, lanciando col brand un mercato di yacht di lusso che prima non c’era, i superyacht in composito, del quale è divenuto il re, e quindi ricominciando a costruire quelli in metallo, sempre più sofisticati e grandi, specie dopo l'acquisizione della shipyard di Livorno.
Nella logica imprenditoriale era abbastanza scontato che il grande passo verso il mercato dei giga yacht Vitelli lo compiesse, ma lo ha fatto in un modo che ha lasciato tutti basiti, costruendone non uno ma tre insieme. Costruzioni seguite da molti con attenzione mista a paura, perché Benetti Yachts è oggi un patrimonio della nautica made in Italy, ne identifica le virtù e il successo, fa lavorare uomini e aziende. Se Paolo Vitelli non fosse riuscito, se il suo cantiere non ce l’avesse fatta, ci avremmo rimesso tutti.
Ora che le tre navi sono in acqua, Vitelli e il suo Gruppo Azimut/Benetti in quel mercato ci sono entrati bussando forte, portando la sfida a chi lo detiene saldamente, cantieri del calibro di Lurssen e Oceanco, mirando a prendersene un quarto, abbastanza per poter predire ancora tanti anni di leadership nella cantieristica della nautica di lusso.
Di seguito riportiamo ciò che di saliente è scaturito nell’incontro durante il varo di Livorno.
Che cosa ha detto Paolo Vitelli
Il presente del Gruppo Azimut/Benetti
Il Gruppo Azimut/Benetti lo scorso anno è cresciuto del 18%, raggiungendo gli 850 milioni di fatturato. Abbiamo Azimut che, contrariamente ai brand inglesi che in questo momento soffrono un po’, sta andando alla grande. Oggi è il miglior cantiere al mondo nel suo segmento e sta portando degli ottimi profitti al Gruppo. Con la realizzazione di questi tre giga yacht, vincendo la sfida più grande nella sua storia, abbiamo l’intenzione di raggiungere lo stesso obiettivo anche con Benetti. In tale contesto positivo il Gruppo ha deciso di ampliare gli investimenti, li abbiamo fatti per le strutture produttive di Benetti, nella portualità a Varazze, a Malta, a Sanremo, ma soprattutto li abbiamo fatti sui modelli, sulle barche, coinvolgendo i migliori yacht designer al mondo, continuando a essere leader nella capacità d’innovazione, come è stato nei primi 50 anni di storia dell’azienda.
Perché costruire giga yacht
Abbiamo un’intelligence di gruppo di grande qualità e per questo sappiamo esattamente cosa accade in questo momento nella yacht industry mondiale. Posso dire che attualmente sono in costruzione 18 giga yacht il cui costo si aggira fra i 250 e i 300 milioni di euro l'uno. Un mercato che vale quindi parecchi miliardi. Negli ultimi tre anni di yacht oltre i 100 metri di lunghezza ne sono stati consegnati una media di quattro per anno. Varandone tre in un anno, diamo il metro della straordinarietà dell’impresa che abbiamo compiuto, avendo conquistato il 75% degli ordini annuali. Siamo entrati in questo settore perché è un ambito indubbiamente interessante, finora di dominio esclusivo di olandesi e tedeschi. Fincantieri a suo tempo ha provato a entrare in questo settore e ha avuto difficoltà e strascichi, ma per il resto non c’è mai stato nessun cantiere mediterraneo a cimentarsi nella costruzione di yacht così grandi. Con uno sforzo enorme abbiamo voluto costruirci un know-how specifico in questo settore, dove non contiamo di continuare a varare tre barche l’anno ma sicuramente pensiamo di poter lavorare stabilmente nell’industria dei giga yacht, con l’obiettivo di conquistare una quota di mercato del 25%, cioè varando un’unità l’anno.
La qualità Benetti
Abbiamo pagato lo scotto di affrontare un’impresa epica, quella di realizzare tre navi contemporaneamente, ma questo ora ci mette nella condizione di poter spaccare il mondo. L’investimento per l’azienda è stato enorme, ma ci ha consentito di arrivare a un livello qualitativo che non ha pari. Solitamente si dice che le navi da diporto costruite in Italia sono solo una scelta di denaro, perché costano meno di quelle nord europee, ma valgono anche meno. È voce comune di tutti gli addetti ai lavori, surveyor, comandanti, manager, tecnici, opinion leader che hanno visto le nostre ultime costruzioni da 45 a oltre 100 metri, che questo gap qualitativo in Benetti non esiste, Benetti è oggi innanzi tutto una scelta di qualità.
Lo scorso novembre abbiamo consegnato una nave di 69 metri - MY Spectre ndr. - destinata a un armatore newyorchese, John Staluppi, una persona a cui piace comprare yacht, al suo terzo Benetti. È un’unità molto tecnologica, capace di fare 22 nodi, con dei sistemi di stabilizzazione all’avanguardia… A 15 giorni dal suo arrivo negli USA la barca aveva già tre compratori, tre armatori che la volevano. Staluppi l’ha venduta e nella transazione ha ricavato una buona plusvalenza anche perché ci sono stati zero remarks da parte dei surveyor che l’hanno periziata. Gli abbiamo dato una barca perfetta. Questo è il risultato del lavoro che sta facendo il cantiere sotto la guida dell’amministratore delegato Francesco Fusignani.
Investimenti e strategia
Non posso negare che quando il board ha preso coscienza delle proporzioni della sfida, del fatto che avremmo dovuto raddoppiare l’investimento inizialmente previsto per portarla a termine, c’è stato un momento di preoccupazione, ma si è deciso che la soluzione a questo problema non era la fuga ma il doverlo affrontare per risolverlo. Ecco che allora si è deciso un cambio di management, si è deciso di cercare la professionalità necessaria all’interno di Benetti, nella persona dell’Ing. Fusignani, si è deciso di fare fronte comune con i clienti anziché combatterli, divenendo un’azienda assolutamente trasparente riguardo tutti i problemi che si affrontavano. Guardando in prospettiva per il Gruppo, si è deciso serenamente che l’utile della divisione Azimut sarebbe andato a supportare gli investimenti necessari per Benetti - comunque già in utile - poiché, alla consegna dei tre giga yacht, tutto ciò gli garantirà un super utile. Sono stati investimenti importanti ma di prospettiva, che ci pongono nella condizione di unici competitor credibili dei cantieri olandesi e tedeschi, per le strutture, per il know-how e per la qualità. Rispetto a noi, loro hanno però un costo del lavoro più alto e ciò lascia inalterata la nostra competitività in termini di prezzi. Siamo sicuri che venderemo altri giga yacht sui quali contiamo di avere un buon margine di redditività che consoliderà i conti del Gruppo, già positivi. In questo mercato ristretto e specialistico, l’alta tecnologia dei nostri prodotti ci favorirà.
Il futuro del Gruppo
Non cercheremo di entrare in borsa, lo dico da sempre. Le piccole aziende che hanno provato la strada della borsa ne hanno tratto più grane che benefici, mentre un’azienda familiare con una visione, una strategia e un impegno a lungo termine, può garantire ai propri dirigenti una prospettiva migliore. Siamo decisi ad aumentare le deleghe ai dirigenti, ad aumentare l’autonomia delle divisioni e soprattutto a continuare a guidare questo Gruppo ancora per qualche generazione. Con mia figlia Giovanna, con i miei nipoti direi che per i prossimi 50 anni siamo a posto. Riguardo Benetti, le voci sulla sua cessione che sono circolate, dico che invece è un cantiere che terremo per sempre, dove abbiamo investito tanto per ottenere risultati economici importanti.
Il modello Feadship
Nel segmento delle barche in acciaio fra i 50 e i 70 metri la cantieristica italiana dovrebbe fare pool, perché comincia a fare delle buone barche, qualitativamente competitive, e invece la concorrenza spietata fra i vari marchi, l’individualismo, la voglia dei singoli imprenditori di apparire più bravi degli altri, impedisce di arrivare a fare quello che in Olanda hanno fatto con Feadship.
Ci vorrebbe quel briciolo di unione, di intenti comuni, che portasse a far percepire al mondo che in Italia, tutta la cantieristica, tutta la filiera è in grado di realizzare un certo tipo di prodotto. Noi, aziende associate in Nautica Italiana, abbiamo intrapreso questa strada.
Nelle barche più piccole, fino ai 30-35 metri le cose andrebbero lasciate così come sono, ma nel segmento fra i 50 e i 70 metri ci vorrebbe questo spirito di aggregazione fra imprenditori, dovremmo fare una “Feadship italiana” allargata a tre o quattro produttori, che garantiscano qualità, chiarezza nei confronti del cliente, con contratti altrettanto chiari, puliti, in modo da poterci presentare nel mondo in una maniera più credibile, basata sulla qualità che riusciamo oggi a esprimere.
Che cosa ha detto Franco Fusignani
L’arrivo, una piccola rivoluzione
Sono arrivato in Benetti nel 2017, nella fase finale della costruzione di questi tre giga yacht nati assieme nel 2015 e finiti contemporaneamente. Ho portato la mia esperienza accumulata in un settore diverso ma che per diversi aspetti ha importanti sinergie, e il mio contributo è stato rivolto a migliorare i processi di costruzione artigianali, rendendoli più organizzati e per quanto possibile industrializzati, sempre in una logica di qualità assoluta, quella che è nel DNA del cantiere.
In pratica, è come se all’interno di Benetti avessimo messo su le strutture di tre distinti cantieri, uno per barca. A bordo di ciascuna nave abbiamo trasferito gli uffici, da dove si è gestita ciascuna commessa assieme alle aziende partner e ai loro tecnici, formando team di una cinquantina di persone per gruppo di lavoro, uno per ciascuno degli scafi, per la gestione dell’avanzamento lavori con una pianificazione severissima di ogni attività. Siamo passati da una pianificazione del lavoro trimestrale a mensile, poi a quindicennale, settimanale, fino a quella giornaliera e ciò ci ha dato la possibilità di gestire anticipi e ritardi, programmando in sincrono l’arrivo delle forniture con le aziende, in modo da poter lavorare coordinati con loro, senza tempi di attesa. Abbiamo inserito controlli di qualità più severi su tutto.
Investire sugli uomini, investire in know-how
Quando parliamo dello sforzo, degli investimenti fatti per realizzare queste tre navi, non mi riferisco solo alle strutture del cantiere, ma parlo anche dell’enorme numero di risorse altamente specializzate coinvolte nella costruzione, che hanno ulteriormente implementato la cultura interna portandola a un livello massimo. Know-how che abbiamo condiviso con un numero selezionato di aziende che ci hanno seguito in questa sfida e con le quali affronteremo ben presto nuove imprese. Lo faremo industrializzando di più il processo, da subito, partendo da una progettazione più profonda, dettagliata al massimo: magari raddoppieremo i tempi di progettazione, ma in questo modo riusciremo a tagliare drasticamente i tempi di costruzione, riducendo imprevisti e problemi.