La storia della povera Sharon Verzeni ci ha profondamente colpiti. Un uomo che esce di sera armato di coltelli perché ha voglia di ammazzare il primo che capiti, lascia sicuramente annichiliti. La vittima poteva essere chiunque, uno di noi, e di pazzi come Moussa Sangare chissà quanti ce ne sono in giro. Il fatto è gravissimo e il pensiero va a chi è rimasto a piangere una persona che non c’è più, morta per un motivo inconcepibile per chi è sano di mente.
La vicenda però fa riflettere per come sia stata raccontata nelle settimane trascorse dal vigliacco omicidio a quando finalmente il colpevole ha confessato. Anziché attendere che il corso delle indagini facesse piena luce, certa stampa ha iniziato a scavare nella vita della ragazza, in quella del compagno, di parenti e amici, costruendo ipotesi su ipotesi, cercando di stringere il cerchio prima che lo facesse la magistratura, frugando morbosamente nei fatti personali di gente devastata dal dolore, solo per trovare l’indiziato. Notizie spiattellate in prima pagina che alla fine si sono rivelate tutte congetture irrilevanti, che hanno solo mortificato la memoria di Sharon e infangato l’immagine del suo compagno, di cui l’opinione pubblica è stata indotta a farne un indiziato.
Lo stesso deplorevole modus operandi, purtroppo, lo abbiamo visto applicare anche riguardo alla tragedia del Perini Bayesian, affondato a poche centinaia di metri dalle coste siciliane, che ha causato la morte di sette persone. Spronati da certa stampa capace di far parlare chiunque sul caso pur di avere delle parole da vendere, oltre a sapere che noi italiani siamo santi, poeti e navigatori, abbiamo scoperto di essere anche un popolo di progettisti navali, di periti nautici, di meteorologi, di skipper ma anche detective in grado di sfornare spy story che le fantasie di Ian Fleming e Ken Follet messi assieme non sarebbero riusciti a partorire.
Le indagini sono agli albori, l’iscrizione nel registro degli indagati del comandante della nave e di due delle persone d’equipaggio, è sostanzialmente un atto dovuto, perché loro tre erano nel momento della tempesta i responsabili delle attività di bordo. Ciò non vuol dire che siano al momento rei di omicidio colposo plurimo eppure molti ne scrivono e ne parlano come fosse un dato di fatto acclarato, come fossero già assassini. Bisogna avere rispetto delle persone morte ma anche di chi ha vissuto quei terribili momenti in mare. Ribadiamo ciò che abbiamo scritto a ridosso del 19 agosto, quando lo yacht è colato a picco: aspettiamo che il Bayesian venga recuperato e poi potremo scrivere sulla vicenda con cognizione di causa e soprattutto senza indurre l’opinione pubblica a conclusioni affrettate.