Crisi energetica: la nautica deve accelerare verso il futuro

Editoriale

16/02/2022 - 08:00

Il Covid-19 ha spinto il mondo a cambiare. La crisi energetica, nelle dimensioni in cui si sta prospettando, darà ulteriore impulso a scenari totalmente nuovi.

Bonomi, il presidente di Confindustria, l’ha definita la vera mina vagante della ripresa, ed è innegabile se pensiamo a come stiano lievitando i costi dell’energia, destinati nel 2022, secondo le stime dell’Associazione di viale dell’Astronomia, a salire di quasi cinque volte rispetto al 21. Se è vero che tutti i cantieri o quasi sono al massimo della produttività, vuol anche dire che i sostanziali aumenti di gas, elettricità e petrolio, ormai quasi quotidiani, stanno a loro volta modificando ogni stima di costi prevista a settembre scorso o ancor prima, quando le barche sono state ordinate, che è andata a farsi benedire.

Paradossalmente, produrre tanto oggi è diventato un grosso problema.

Aspettando che anche da noi si possa tornare a parlare di nucleare – scellerata fu la scelta di bandirlo invece che investire in sviluppo e ricerca per renderlo più sicuro, riducendo magari anche le scorie - bisogna che il comparto nautico si adatti in fretta, che acceleri nell’arrivare a produrre in maniera più efficiente, veloce, economica ma senza perdere in qualità, una delle ragioni del successo del Made in Italy nautico nel mondo.

Molti piccoli cantieri hanno bisogno di interventi radicali, costosi, ma che vanno fatti o altrimenti si scompare. Per guardare al futuro pensando di crescere e non di tentare di sopravvivere, serve però anche un’altra mentalità, che prenda esempio da Pirelli e SACS, dall’accordo che ha portato i due marchi a realizzare un gruppo di vertice nella cantieristica dei maxi RIB. Immaginabili i vantaggi che la sinergia fra i due cantieri avrà come conseguenza in termini economico/finanziari e la forza che potrà dare, ad esempio, al loro export, all’internazionalizzazione, lasciando intatte identità, gamme e quindi mercato di ciascuno: Pirelli continuerà a proporre i propri maxi RIB sportivi mentre SACS continuerà a proporne la propria declinazione motoryacht.

Bisogna investire nelle strutture ma occorre farlo anche sul progetto di nuovi modelli che interpretino i nuovi stili di vita portati dai cambiamenti. Le barche devono anch’esse diventare più efficienti, in grado di consumare e d’inquinare meno, anche se il traguardo di realizzare uno yacht da crociera realmente green, capace di ridurre significativamente l’impronta lasciata sull’ambiente, è ancora lontano. Così come l’obiettivo di arrivare a barche che a fine vita possano essere riciclate. Uno dei maggiori costi dello smaltimento di una barca è smontarla, tirare via motori e impianti, togliere vetri, pannelli, legni, metalli, tutto ciò che non è struttura, tutto ciò che non è VTR. Per abbattere anche questi costi bisogna intervenire all’origine, progettando barche facilmente costruibili e più semplici da smaltire, dove tutti i materiali siano sempre codificati e tracciati dall’origine fino al fine vita. Bisogna trovare materiali meno impattanti o riconsiderare l’utilizzo di quelli “vecchi” ma totalmente ecologici come il legno e il metallo.

La forza per affrontare questi nuovi scenari e così grandi investimenti oggi ce l’hanno in pochi, solo i grandi gruppi dall’alto dei loro fatturati miliardari.

Il modello Feadship, che molti e noi con loro, tengono a emblema dello stare insieme fra aziende, quello che porta più cantieri olandesi a compartecipare nel produrre assieme grandi yacht, nel fare business, è ancora lontano, ma indubbiamente quello che Matteo Magni e Giovanni De Bonis (oggi rispettivamente presidente e CEO della neonata Sacs Tecnorib), definiscono "l’integrazione societaria di natura industriale", è un passo che probabilmente molti costruttori dovrebbero prendere in considerazione.

Fabio Petrone

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