Il Presidente Trump e i dazi USA rischiano di penalizzare il mercato della nautica da diporto

Il Presidente Trump e i dazi USA rischiano di penalizzare il mercato della nautica da diporto

I dazi USA e i possibili effetti sul mercato della Nautica

Editoriale

25/04/2020 - 12:30

Le recenti decisioni dell’amministrazione Trump in materia di dazi hanno messo in allarme, da mesi, il mercato della nautica da diporto, sia americano che europeo, spingendo le principali associazioni di categoria internazionali a sottoscrivere atti formali di diffida alla applicazione delle misure ipotizzate.

Per comprendere il potenziale effettivo impatto sul settore occorre svolgere una più ampia ricognizione che tenga conto del contesto socio-economico e giuridico che sta alla base delle scelte americane.

Non è sorprendente che lo slogan "America First", alla base della campagna elettorale del Presidente Trump nel 2016, si sia tradotto in azioni fortemente protezioniste nel settore del commercio internazionale.

Come si ricorderà, il Presidente USA annunziò, pochi giorni dopo l’insediamento, il ritiro dalla Transpacific Partnership (TPP) e, prima di arrivare ai recenti dazi su acciaio ed alluminio, aveva già adottato dazi per dumping su pannelli solari e lavatrici, provenienti prevalentemente dalla Cina e dalla Corea del Sud.

Alle azioni amministrative si è poi accompagnato un forte pressing nei confronti di aziende in vari settori, minacciate dell’applicazione di consistenti dazi in caso di produzione all’estero di merci destinate al mercato USA.

Con riferimento al panorama delle aziende italiane, ad esempio, ciò ha indotto FIAT Chrysler ad annunziare, a gennaio 2018, che parte della propria produzione di pick-up sarà trasferita dal Messico al Michigan, ma sono molte le aziende che hanno comunicato simili cambiamenti di programma.

E lo scopo fondamentale delle politiche di Trump nel settore del commercio internazionale (cosi come in altri settori, quali la politica ambientale con il sostanziale smantellamento del ruolo della Environmental Protection Agency) è proprio quello di creare nel più breve tempo possibile quanti più nuovi posti di lavoro in USA, come già anticipato nel discorso inaugurale.

I primi 15 mesi della Presidenza Trump hanno visto, dunque, un’applicazione indifferenziata della politica protezionistica alla base della visione di Trump, accusato dagli alleati europei e nord-americani di non differenziare fra alleati ed avversari geopolitici, considerazione che ha portato l’Unione Europea a flirtare con la Cina in vari scenari internazionali, dal commercio alla tutela ambientale.

Eppure, da qualche settimana sembra intravedersi un approccio parzialmente diverso con la sospensione, reiterata pochi giorni fa, dei dazi su acciaio e alluminio nei confronti di Unione Europea, Canada e Messico sino al primo giugno, con l’intento dichiarato di trovare nel frattempo soluzioni reciprocamente soddisfacenti con ciascuno di questi partner commerciali.

Molteplici le ragioni. Innanzitutto, iniziano a emergere i danni che le ritorsioni commerciali adottate o minacciate dai vari Paesi creano proprio alla base elettorale repubblicana (ad esempio nel settore agricolo, che vive di esportazioni) e le proteste di settori interni dell’economia che utilizzano come componenti propri i prodotti soggetti a dazi, con l’effetto di divenire meno competitivi e, in ultima analisi, perdere più posti di lavoro di quanti possano essere creati nei settori protetti dall’Amministrazione.

Forse più importante, l’Amministrazione ha nel frattempo deciso di concentrarsi su una più decisa guerra commerciale con la Cina, con l’imposizione di dazi reciproci per un valore a oggi già di 50 miliardi di dollari l’anno, e un nuovo capitolo che dovrebbe avere un valore triplo.

Impegnata in un simile sforzo, e avendo indicato la Cina, più della Russia, come avversario geopolitico da limitare e sconfiggere, l’Amministrazione Trump sembra ora maggiormente orientata a cercare alleati (come dimostra anche il ventilato rientro nel TPP), piuttosto che alienare e spingere nell’orbita cinese nazioni-chiave.

Sotto il profilo tecnico-giuridico, l’Amministrazione ha adottato i dazi non come misure antidumping (come nel caso dei dazi su lavatrici e pannelli solari) ma per ragioni di sicurezza nazionale in applicazione della Sezione 232 del Trade Expansion Act del 1992, norma di scarsissimo utilizzo precedente.

Nel caso specifico la giustificazione tecnica è che la capacità di produzione USA non è sufficiente a garantire le necessità militari, mettendo cosi a rischio la sicurezza nazionale.

Ciò ha portato ad applicare dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio. I Paesi colpiti hanno evidenziato la contrarietà di tali provvedimenti alle norme dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e, mentre la Cina ha avviato ad aprile un procedimento arbitrale nei confronti degli Stati Uniti, l’Unione Europea sta considerando di farlo nel caso in cui l’esenzione dai dazi non divenisse definitiva, come esplicitamente affermato nelle più recenti press release ufficiali seguite alla dichiarazione del differimento di entrata in vigore delle misure.

La Commissione ha affermato che la decisione degli Stati Uniti prolunga l'incertezza del mercato, che sta già influenzando le decisioni di business e che l’UE dovrebbe essere completamente e permanentemente esentata da tali misure, in quanto non possono essere giustificate sulla base della sicurezza nazionale, anche considerando che la sovracapacità nei settori dell'acciaio e dell'alluminio non ha origine nell'UE.

L'UE ha confermato la sua disponibilità a discutere le attuali questioni di accesso al mercato di interesse per entrambe le parti.

Il settore della nautica da diporto, come premesso, è certamente potenzialmente oggetto di significative ripercussioni nel caso della piena applicazione dei dazi previsti.

Negli Stati Uniti, secondo i dati delle maggiori associazioni di categoria, l’industria nautica da diporto contribuisce con 38,2 miliardi di dollari al prodotto interno lordo degli Stati Uniti, annoverando circa 35.000 imprese e 650.000 posti di lavoro diretti e indiretti.

Nell’Unione europea l’industria della nautica da diporto, nonostante la crisi degli ultimi anni, è oggi costituta da circa 32.000 aziende, per un numero di addetti di oltre 280.000 unità.

Le conseguenze delle scelte paventate dall’amministrazione Trump sono evidenti: l’alluminio come l’acciaio sono materie prime fondamentali per la produzione di grandi unità da diporto ma anche di componenti navali, e l'aumento dei costi per i produttori statunitensi avrà un impatto immediato sulle vendite del segmento.

Sotto il profilo giuridico, tuttavia, la situazione è in divenire e non è chiaro quali possano essere i prossimi sviluppi della vicenda.

Chiaramente, ove le parti dovessero trovare un accordo commerciale, l’Unione Europea sarà esclusa in via definitiva dai dazi e i venti di guerra commerciale si sopiranno (per ora).

In caso contrario, l’Unione Europea valuterà due opzioni:

avviare, come la Cina, un arbitrato presso l’OMC, con la possibilità di applicare misure di ritorsione nella misura autorizzata in caso di vittoria;

dare attuazione immediata alle misure ritorsive annunziate, per un valore stimato di 3.5 miliardi di Dollari, senza attendere gli esiti dell’arbitrato o evitando di attivare l’OMC.

Entrambe le soluzioni presentano dei rischi.

Nel primo caso, le aziende europee resterebbero esposte ai dazi USA senza reazione da parte dell’Unione sino al termine dell’arbitrato, che potrebbe richiedere alcuni anni, con il rischio che l’Amministrazione USA adotti nuove misure confidando sulla debolezza della reazione o che, in caso di sconfitta, rifiuti di riconoscere validità al lodo OMC, minando cosi l’attuale struttura istituzionale del commercio internazionale, con esiti imprevedibili nella loro portata, ma sicuramente non positivi, sull’economia mondiale.

Nel secondo caso, è facile prevedere una escalation (Trump ha già annunziato che le ritorsioni dell’Unione Europea lo indurrebbero ad introdurre dazi nell’ordine del 20%-30% sulle automobili importate dall’Unione) di cui è difficile indovinare la portata, stante la convinzione dell’amministrazione Trump che una guerra commerciale, anziché risultare deleteria per tutte le parti come ritenuto dalla maggioranza degli economisti indipendenti, sarebbe facilmente “vinta” dagli USA.

Pl trade investment

Lucio Lanucara
Cristina Pozzi

PREVIOS POST
MCDM presente alla seconda edizione del VYR2018 a Viareggio
NEXT POST
Hanse Yachts vs Cantiere del Pardo: il commento alla sentenza, seconda parte