Dolcevela non è una barca
Dolcevela non è una barca
Dolcevela non è una barca. Dolcevela è un nuovo modo di andare per mare, che passa anche da una barca, ma è qualcosa di ulteriore e più sostanziale.
Andiamo con ordine. A Punta Ala, qualche giorno fa, ho provato il Dragon 48 Vintage, quinta barca commissionata da Angelo Bruni, armatore, sia a vela sia a motore, che ha scelto di regalarsi qualcosa di diverso dal solito: il primo esemplare della gamma Dolcevela.
In che cosa è diversa da tutto il resto del mercato nautico? Almeno tre cose. A partire dalla più appariscente: questa barca a vela non ha la randa. Il Dolcevela rig non è una novità assoluta, ma di certo una scelta molto di nicchia e mai presentata su prodotti che strizzano l'occhio anche allo stile e non solo alla purezza/funzionalità dell'oggetto tecnico.
Si caratterizza da avere un albero molto arretrato rispetto alla posizione longitudinale dell'antenna principale in un piano velico tradizionale, due vele di prua rollabili -un genoa vero con bugna oltre l'albero e una trinchetta autovirante- che possono essere usati anche contemporaneamente e un code 0 da murare all'estrema prua.
Vantaggi di questa configurazione? Primo tra tutti, è più pratica: l'assenza della randa fa sì che non ci sia la necessità di manovrare stando controvento, come invece si è obbligati a fare quando si issa o si ammaina la randa di un piano bermudiano tradizionale. Le vele di prua si aprono e si rollano praticamente in qualsiasi andatura e la loro "messa in opera" richiede meno energia aprendole che issandole.
Secondo vantaggio: via la randa, via il boma. Il boma porta del peso in alto aumentando lo sbandamento, come sua abitudine spazza il pozzetto da murata a murata (tra l'altro infischiandosene delle teste che potrebbero trovarsi sulla sua via) e infine che contribuisce a fare rumore in manovra. Non a caso, facci caso specialmente d'estate: quante barche vedi navigare con il solo genoa? E, pensa, posso scommettere che nessuna delle barche che hai visto in giro così invelate è pensata per navigare in questo modo, eppure è così che la maggioranza dei crocieristi usa la barca a vela.
Ma come va un Dolcevela rig? Per quello che ho visto io, egregiamente. Con il genoa e la trinchetta aperti (105 metri quadrati il primo e 52 metri quadrati il secondo), in una condizione di aria estremamente leggera, intorno a 3,5 nodi, con i serbatoi di acqua e gasolio pressoché pieni e 9 persone a bordo, il Dragon Vintage ha tenuto una velocità di GPS che variava ta i 2,8 e i 3,2 nodi e l'angolo di bolina al vento reale era intorno ai 40 gradi.
Impossibile provarla a vela se non in andature strette, davvero troppa poca aria per potersene fare un'idea, ma se non altro io e chi era con me, abbiamo verificato che il sistema funziona e bene.
Il piano di coperta del 48' Dragon Vintage, come quello di ogni Dolcevela, a meno che non sia espressamente richiesto diverso dal proprio armatore, è pensato in modo da rimandare le scotte al winch primario (elettrico) che è manovrato direttamente dal timoniere.
Le buone prestazioni a vela, ovviamente, non sono solo il frutto di un piano velico efficiente, ma anche del riuscito equilibrio tra linee d'acqua e dislocamento. La carena è di certo molto interessante, non solo per quello che ha mostrato poter raggiungere con una bava di vento, ma anche per come ha dato mostra di sé quando è spinta a motore. Anzi, a motori.
In questo esemplare di Dolcevela, su richiesta di Bruni, che aveva apprezzato la comodità della doppia elica manovrando le barche a motore, si è armata il Dragon 48 vintage con due fuoribordo Suzuki Ari da 60 cv ciascuno.
Questa soluzione ha due ricadute positive. La prima è quella della doppia elica che facilità le manovre, come già accennato. La seconda risiede nei vantaggi che i fuoribordo danno rispetto ai motori entrobordo. Costano meno; non rubano spazio in sala macchine; si mantengono, ci si interviene e si sostituiscono più comodamente e alla fine dell'uso quotidiano, spariscono totalmente nello scafo rimanendo all'asciutto e la loro scassa è chiusa in carena da un'apposita struttura che reintegra le linee d'acqua.
Intorno ai 5000 giri al minuto, la coppia di motori spingeva il Dolcevela diversi decimi oltre i 10 nodi senza che la barca mostrasse i tradizionali segni di "appozzamento" che si verificano quando una carena da vela è spinta "troppo forte" da un motore. Facile pensare che con un po' di cavalleria in più, questo stesso esemplare di Dolcevela possa superare gli 11 nodi di velocità massima (e già si comincia a comprendere che Dolcevela non è una gamma di imbarcazioni di serie, ma un sistema di creazione della barca).
In ogni caso, avere una barca a vela che con 6 nodi d'aria già può navigare a 5,5 nodi significa che verosimilmente le volte in cui si useranno le vele saranno molte si più di quelle in cui sarà il motore a spingere la navigazione.
Il disegno del Dragon Vintage è singolare per scelta padronale e non per obblighi dovuti al Dolcevela rig. Il pozzetto è molto ben protetto dalla tuga che ha le cadute verticali perpendicolari al piano di calpestio su cui si chiudono. I tre lati anterolaterali, come direbbe un anatomisti, sono simili d'altezza, mentre la parte poppiera della sovrastruttura dimostra l'altezza degli interni nella zona living.
A meno che non si decida di rimanere sempre in piedi, con questa configurazione a ruota unica centrale, stando al timone, la visibilità a prua è un po' limitata, gioverebbe avere un'altra apertura trasparente sulla paratia posteriore della tuga. Ovviamente, gli strumenti per il controllo e la gestione della navigazione, sono riportati in una consolle posta al vertice del supporto del timone, che alloggia, ai due lati le due manette dei motori. Una scelta armatoriale opinabile, io avrei lasciato entrambe le manette dalla stessa parte per manovrare senza dover spalancare le braccia tipo le ali di un albatross in volo, ma alla fine se la deve manovrare lui la barca così.
Sottocoperta, per una considerazione sugli spazi vi rimando alla pianta degli interni che è molto più chiara ed esplicativa dei racconti a parole. Quello che mi preme riportare sono due elementi/ considerazioni riguardo alla dinette e uno riguardo alle scelte stilistiche. In dinette la luminosità è assoluta grazie alle lunghe vie di luce in tuga, praticamente tutto il perimetro è vetrato; inoltre, la separazione di chi sta dentro dal pozzetto o l'integrazione delle due aree è solo una questione di come si decide di tenere le porte, se chiuse o aperte.
Secondo punto interessante degli interni è la pianta della cabina di prua, con il letto armatoriale al centro e che si prosegue, a proravia, con un bagno con vano doccia separato e a ridosso del pozzo dell'ancora. Il lasciare a vista gli elementi di costruzione, e poi arriviamo anche a ragionare sul legno, oltre a dare un carattere individuale al Dragon Vintage, contribuisce ad aumentare i volumi percepiti dei locali interni.
E arriviamo quindi al legno, secondo elemento distinguente i Dolcevela. La costruzione "uno per uno", come succede con le barche così realizzate, ha una serie di ricadute positive. Anzi, vediamolo dall'altro punto di vista: la vetroresina funziona meglio del legno solo se si devono costruire tante barche, perché si riducono i costi e i tempi di lavorazione.
Ma finché rimaniamo nell'ambito della piccola serie o del one off, non c'è storia.
Da un punto di vista di costi, non serve uno stampo per costruire in legno. Ciò significa che tutti i soldi che l'armatore "esce" vanno a finire sulla barca e non pagano quota parte dello stampo, che costa più o meno quanto una barca finita. Eliminarlo anche significa che non dovrà essere buttato alla fine del suo ciclo vitale, che significa anche non creare scarti di materiale plastico e non riutilizzabile (né granché riciclabile). Questo non rende automaticamente una barca green, ma di sicuro riduce il suo impatto ambientale rispetto a una costruita "in plastica".
Il legno, scegliendo le varietà più adatte, è più leggero di molta vetroresina tradizionale (poliestere o vinilestere), ha un'ottima resistenza alla deformazione e agli stress meccanici. Inoltre coibenta e isola meglio gli interni per quanto riguarda calore, rumori e umidità: è molto difficile trovare della condensa in una barca di legno.
Infine, proprio per l'assenza dello stampo, questo materiale garantisce molta più libertà di personalizzazione, anche in corso d'opera. Proprio grazie a ciò, il secondo modello Dolcevela sarà un 47' con un layout di interni e coperta più tradizionale e totalmente diverso dal 48'che non ha cabine di poppa. Inoltre è già sul tavolo da disegno anche un 42'.
Inoltre, il rivestimento in epoxy bio e le fibre (carbonio, vetro o lino a seconda delle scelte armatoriali e delle necessità strutturali) che rivestono esternamente scafo e coperta, rendono la struttura a tutti gli effetti impermeabile come in una barca in vetroresina, e che per di più non conoscerà mai il fenomeno dell'osmosi.
Infine, la terza caratteristica di Dolcevela, che si trasforma in una possibilità per l'armatore è il suo pool creativo-costruttivo: gli Artieri del mare. Si tratta di un gruppo che si assembla e si disgrega a seconda delle necessità di design, progetto e costruzione.
Alla base c'è Alessandro Vismara, con il ruolo di esperto-collettore-supervisiore, che per lo sviluppo di questo progetto Dolcevela e per la costruzione dei primi esemplari, in funzione di dimensioni e soluzioni, ha coinvolto Otto Villani come progettista che ha tirato le linee del Dolce Vela Dragon Vintage 48 e degli altri due Dolcevela in progettazione. Il cantiere che ha materializzato il progetto è RiNautica di Mentor Shimaj, maestro d'ascia oltre che liutaio, e del socio Michael.
Insomma con Dolcevela si apre un nuovo capitolo della navigazione a vela. Il potenziale lo ha tutto, anche per convincere i velisti di ritorno, che vogliono ridurre sforzi e complessità di gestione, e persino chi non ha mai osato approcciarsi alla barca a vela per il timore reverenziale nei confronti di un oggetto più difficile "da mandare" di una barca a motore. E sono certo che dopo qualche titubanza iniziale (i velisti tendono all'inerzia quando si approcciano a qualcosa di così innovativo) i Dolcevela che si vedranno in giro saranno sempre di più.