Le ultime immagini che riprendono il Perini Bayesian prima del naufragio, forniteci da Karsten Borner
Bayesian: ho incontrato Karsten Borner, il primo soccorritore del naufragio
Finora chi scrive si è tenuto lontano dalle tante ipotesi, chiacchiere da bar, approfondimenti di professionisti e analisi più o meno interessanti fatte sul naufragio del Perini Bayesian, avvenuto quasi due mesi fa nel mare antistante Porticello, in Sicilia. Per un marinaio quando una nave affonda è un momento doloroso anche se non ci sono vittime, quando invece ce ne sono, diventa un evento che richiede il massimo rispetto.
Ho deciso di prendere atto di alcuni elementi fin qui fondamentali: mancano ancora molti tasselli per fare ipotesi concrete; fino a quando non sarà recuperato lo scafo ogni teoria è buona e cattiva allo stesso tempo e anche se ne possiamo formulare mille la verità sarà sempre una. Un lavoro investigativo non può prescindere dalla formulazione delle ipotesi, ma personalmente ho visto troppi investigatori senza incarico lanciarsi in teorie più o meno realistiche, che troveranno 999 smentite e una conferma.
Detto questo, chi scrive non può nascondere il suo amore per le navi e per la storia di Perini Navi, dunque, anche solo ipotizzare che ci possa essere stato un solo caso disastroso nella sua gloriosa storia dovuto a un errore, che sia di progettazione, costruzione o altro tipo, è qualcosa duro da digerire. Ho provato a elaborare in forma autonoma e riservata delle ipotesi sulla base dei pochi elementi disponibili, arricchendola delle informazioni che di volta in volta sono state rese pubbliche da fonti attendibili.
Non riuscivo a pensare a un comandante esperto che nella tempesta lasciava i portelloni di poppa e laterale aperti, così come fin da subito ho faticato a pensare che l’albero fosse rovinosamente “caduto”, così come ho scartato le ipotesi fantasiose e complottiste di alcuni, che addirittura hanno ipotizzato la presenza di un sommergibile che avrebbe tirato a fondo il Bayesian. Scartata anche l’ipotesi della catena dell’ancora che porta via alcune delle appendici creando vie d’acqua ingestibili.
Ho cercato di darmi risposte e ho ascoltato autorevoli pareri in merito su media e TV, ma m’interessava il parere di Karsten Borner, il comandante del Sir Baden Powell, il clipper di 42 metri che si trovava a 150 metri dal Bayesian al momento del disastro e che ha offerto i primi soccorsi ai naufraghi. È una persona che conosco da tempo e la sua nave è ormeggiata a Marina di Porto Rotondo, dove mi trovo io. Ne ho approfittato per incontrarlo e fargli alcune domande alle quali ha risposto con piacere da un lato, un profondo rammarico dall’altro. La mia prima domanda è stata in merito all’articolo pubblicato sul New York Times, che lui ritiene essere realistico pur tenendoci a considerare questa un’analisi e un’opinione personale. Quindi ho chiesto il suo parere sull’equipaggio, che lui ha definito preparato e soprattutto molto attivo nel gestire le fasi del naufragio, infine gli ho chiesto le sue impressioni.
La sua risposta è arrivata dopo qualche secondo di silenzio e con una domanda: “Sei un uomo di mare anche tu, secondo te una nave come quella come fa ad affondare in due minuti? Solo una via d’acqua molto importante può comprometterne la galleggiabilità in modo così rapido, ma lo scafo è intatto, almeno sembra fin qui dalle immagini che abbiamo visto tutti. Noi – continua Karsten Borner - lo abbiamo visto coricarsi su un lato e poi rapidamente affondare di poppa. Mentre questo accadeva eravamo sotto raffiche di vento e pioggia talmente forti che non si riusciva a vedere molto, il mare era bianco e l’acqua arrivava a secchiate. Durante le manovre che stavamo facendo per gestire il maltempo, un ospite a bordo mi ha detto che a poppa avevamo un reef… un reef? Impossibile! Mi sono girato e ho visto lo scafo coricato su un fianco, solo allora ho capito cosa stava accadendo, poi, dopo pochissimo tempo, abbiamo visto la sagoma della prua ancora fuori dall’acqua. A seguire ci sono stati i razzi lanciati dall’equipaggio sul mezzo di soccorso e tutto si è fatto concitato, dovevamo pensare a loro”.
Nel dire queste parole ho percepito nel comandante l’emozione di un uomo di mare che vede affondare una nave e teme il peggio, come poi è accaduto, ossia, che ci fosse qualcuno ancora a bordo. Poi mi ha ripetuto che solo una massa d’acqua talmente importante da compromettere la stabilità della nave in poco tempo, avrebbe potuto innescare una spirale disastrosa capace di portare in due minuti, come riportato dal direttore di macchina, all’affondamento. Da dove è entrata tutta quest’acqua? Non lo sa lui, non lo sappiamo noi, ma qualcuno delle ipotesi le ha fatte e il risultato, dalle cronache recenti, è stato l’avvio di una causa internazionale da parte di The Italian Sea Group, attuale proprietario di Perini Navi, contro il New York Times. Noi la verità non la conosciamo e l’ermetismo della procura incaricata delle indagini, che rispettiamo e apprezziamo a dire il vero, non permette di conoscere nel dettaglio tutti gli elementi fin qui raccolti. Andando per sottrazione possiamo solo dire che: l’albero è rimasto al suo posto, la nave è affondata e sembra integra, sul fondo a circa -50 metri, non si è registrata alcuna esplosione prima o durante gli eventi.
Allora cosa ha fatto sì che il Bayesian affondasse così rapidamente durante un evento meteo di forte intensità? L’ipotesi avanzata dai tecnici, ingegneri, progettisti ed esperti coinvolti nell’inchiesta del New York Times, punta sulle modifiche progettuali adottate per trasformare il progetto del 56 metri di Perini Navi da ketch, bialbero a sloop, monoalbero, individuando in queste la causa di variazione di assetto e di uno sbandamento eccessivo dello yacht durante la tempesta, che lo ha investito all’alba del 19 agosto. Come conseguenza di ciò, secondo il NYT, l’acqua avrebbe letteralmente sommerso le prese d’aria di sala macchine, cucina e locali interni, innescando la spirale di cui sopra. L’autorevole quotidiano statunitense dunque, punta il dito sul progetto, cosa che leggere ha provocato in chi scrive profondo dispiacere. Naturalmente, mancano ancora molti elementi per definire la verità, ma anche solo vedere ipotizzata una cosa simile ferisce, come il tentativo di scaricare tutto subito e senza elementi certi sull’equipaggio.
Il comandante del Sir Baden Powell ha considerato il comandante del Bayesian, il neozelandese James Cutfield, e il suo equipaggio preparato anche nella gestione dell’emergenza: si è assicurato durante le fasi del recupero che i portelli fossero chiusi e questo ce lo ha confermato Borner, dicendomi che lo ha anche verificato dalle immagini scattate dai suoi ospiti poche decine di minuti (ironia della sorte!) prima dell’evento. Lo stesso Borner mi ha riferito che il comandante voleva tornare in prossimità del luogo dell’affondamento appena lasciati i feriti a bordo dell’unità soccorritrice, ma ormai non c’era altro da fare, sebbene le ricerche svolte dal tender del Sir Baden Powell siano proseguite. Restano ancora tanti interrogativi sulla vicenda, noti progettisti nazionali intervenuti in trasmissioni televisive che hanno dedicato all’argomento molto spazio, hanno confermato che solo un’improvvisa quantità d’acqua in grado di superare il limite progettuale di stabilità avrebbe potuto creare il disastro, che l’unità era provvista dei necessari compartimenti stagni per scongiurare proprio un evento simile e bisogna allagarne almeno due contemporaneamente per compromettere la stabilità della nave.
Anche le immagini diffuse dalla stampa e riprese in occasione delle immersioni svolte dagli uomini della Marina Militare – COMSUBIN, hanno confermato molte delle cose dette fin qui, in particolare per quanto riguarda la chiusura dei portelloni esterni, l’integrità dello scafo, la presenza dell’albero al suo posto. Tutto questo per sostenere che ci sono ancora dei dubbi nonostante ciò che ha scritto il quotidiano statunitense? A nostro avviso, fino a quando non sarà recuperato il relitto, i tasselli mancanti ancora non permettono di stabilire con certezza le cause del disastro. Certo, la ricostruzione del media americano fatta dai professionisti coinvolti può sembrare convincente, comprendiamo la difficoltà ad accettarla come ipotesi da parte di The Italian Sea Group, coincide con la nostra di difficoltà. Ma a oggi è forse la ricostruzione che più di ogni altra, ha saputo fornire risposte plausibili. Quando sarà recuperato il relitto, (ci chiediamo per quali ragioni non sia stato già recuperato n.d.r.) avremo le risposte mancanti, oppure, se lo scafo è integro, i portelli e le paratie stagne chiuse e non ci saranno segni evidenti di danni alle appendici se non quelli determinati dall’adagiamento sul fondo, qualche incognita in più per chi, come il sottoscritto, oppone qualche resistenza al pensiero dell’errore progettuale, resterà.
Una domanda resta su tutte e la rivolgiamo ai tanti che hanno puntato subito il dito sull’equipaggio: quale sarebbe la catena degli errori che avrebbe commesso per innescare la spirale disastrosa che ha portato all’affondamento? Stiamo parlando di una nave di 56 metri, di un comandante esperto che ha già affrontato in mare situazioni di maltempo particolarmente impegnative, come riportato da suoi precedenti colleghi e armatori. Qualcuno ha segnalato che se a soli 150 metri dal Bayesian un’unità molto più vecchia e soprattutto tecnologicamente più arretrata come il Sir Baden Powell non ha subito la stessa sorte, la variabile è da ricercare sicuramente nel comportamento diverso tenuto dai due equipaggi. Sicuri? Su quale base si possono fare queste affermazioni senza riscontri? E qui torniamo alla domanda iniziale, quali sarebbero questi errori fatali commessi dall’equipaggio del Bayesian quella notte? La nave era stata resa ermetica per quanto possibile, così ci ha detto Karsten Borner riportandoci le parole del comandante del Perini Navi, dunque? Errori di manovra? Come si fa a pensare che una leggerezza (?) di un comandante esperto possa aver causato un disastro simile, senza prima capire quali altri elementi hanno avuto un ruolo fondamentale in un affondamento così anomalo per modalità e tempi? Da quel 19 agosto abbiamo tutti ascoltato tante teorie, tanti saggi pronti a dire la loro, fino all’articolo del New York Times che ha sparigliato un po’ le carte in tavola, perché supportato dalle opinioni di esperti e di chi era sul posto, un uomo che vive in mare da 40 anni. Vogliamo ancora sperare che ci siano altre variabili da valutare per arrivare alla verità, ma come siamo disposti a offrire il beneficio del dubbio alla versione del quotidiano statunitense, riteniamo sia quantomeno un atto di rispetto non accusare per partito preso l’equipaggio.
Le immagini del Perini Bayesian ancorato di fronte alla costa siciliana la notte del disastro, che alleghiamo a questo articolo ce le ha fornite Karsten Borner, il comandante del Sir Baden Powell e, come si può vedere dai metadati presenti in alcune, sono state scattate fino a poche decine di minuti prima del disastro, dove si vede il mare calmo e la quasi assenza di vento, come si vedono i portelloni chiusi. Ci sono anche le immagini della nave di Karsten Borner, facile intuire le differenze d’epoca progettuale, ma anche numerose altre differenze che a prescindere dalle dimensioni, visto che qualcuno ha detto che se una nave, un “vecchio” clipper di 42 metri f.t. ha resistito e una moderna e tecnologica di 56 no, le teorie su equipaggio e/o sabotaggio non sono poi così creative. Nessuno punta il dito su scelte progettuali, siamo certi che lo sviluppo tecnologico sia di per sé una grande opportunità anche nel nostro settore, ma guardando le due navi e sapendo che hanno vissuto la medesima esperienza “meteo” nel medesimo luogo nel medesimo istante, le differenze assumono un significato diverso viste le analisi suggerite dal New York Times e gli specialisti che ha coinvolto. Naturalmente per valutare certe variabili è necessario un occhio con un minimo di competenza. Il “vecchio” clipper per esempio, ha chiaramente un baricentro molto più basso, un bordo libero più alto e locali sopra il piano di coperta che per essere interessati a masse d’acqua pericolose si devono trovare a livelli di sbandamento più che straordinari, così come un armo frazionato basso sulla linea di galleggiamento, dunque, meno esposto in quota e con un braccio inferiore. Basta questo per dichiarare chiusa la faccenda? Secondo noi no, ma è certamente un ulteriore indizio che spinge a considerare l’analisi del quotidiano statunitense quantomeno plausibile. Da amante del cantiere e delle sue navi l’articolo del NYTimes induce sentimenti di profondo dispiacere, dunque, la speranza è che sia una delle numerose teorie senza riscontro.
Angelo Colombo
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