da sinistra: Alessandro, Luigi e Cristiano Gianneschi

da sinistra: Alessandro, Luigi e Cristiano Gianneschi

Nautica, le aziende di famiglia protagoniste: Gianneschi Pumps and Blowers

Editoriale

09/11/2018 - 13:31

Le aziende familiari sono la spina dorsale dell’economia di un paese. In Italia sono quasi l’intero scheletro: si stima che da noi siano poco meno di 800.000, cioè l’85% del totale, e che impieghino il 70% della forza lavoro del Paese. Molte, la maggior parte, sono piccole, talvolta piccolissime realtà impegnate per lo più nel commercio e nel terziario. Altre, però, sono fabbriche, divenute delle vere e proprie industrie, piccole, medie e grandi, alcune cresciute nel tempo fino a essere dei colossi. Ma la loro storia è sempre partita da quella di un uomo, il fondatore, che grazie al suo genio, al suo saper cogliere delle opportunità, al sapersele creare, è riuscito a fondare la propria family company.

La nautica, intesa come cantieristica ma anche come filiera produttiva, in Italia nasce proprio grazie all’iniziativa di privati pieni di idee e buona volontà, ma solo una piccola parte delle loro aziende familiari è poi riuscita a crescere e soprattutto a sopravvivere al tempo. Le statistiche dicono che a livello generale in Italia solo il 30% delle family company riescono a durare fino al primo cambio generazionale, quando subentrano i figli, che diventano il 12% al secondo e poi ancora a scemare con le generazioni successive. Anche se non esistono numeri specificamente riferiti alla nautica, i nostri 30 anni di giornalismo nell’ambito delle barche ci danno l’idea che il settore abbia avuto un trend in linea. Di tante aziende che abbiamo visto nascere nella nautica, poche sono realtà in essere oggi, ancor meno sono rimaste aziende di famiglia.

Eppure le family company nascono con tutte le carte in regola per essere anche più competitive delle public company. Allora qual è il problema, perché molte non sopravvivono?

Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Gianneschi, incontrato recentemente presso gli stabilimenti della Gianneschi Pumps and Blowers, a Capezzano Pianore, nel cuore di quella Versilia dove vedono la luce il ghota degli yacht di lusso made in Italy. Col fratello Cristiano è una delle persone che ha titolo a dire la sua sull’argomento, perché assieme rappresentano la seconda generazione della famiglia Gianneschi, dopo l’improvvisa scomparsa del papà Luigi avvenuta nel 2016, alla guida di una delle aziende che meglio identificano la qualità del Made in Italy in ambito nautico. Non costruisco barche ma realizzano macchinari e accessori indispensabili al loro funzionamento: pompe, elettropompe, autoclavi, elettroventilatori, compressori, boiler, motopompe ecc., rivestendo un ruolo di rilievo nel panorama internazionale.

Quando si deve far partire un’azienda, periodo che oggi è definito start-up, avere un uomo che accentri sia la figura dell’imprenditore sia quella del manager, è sicuramente un punto di forza – ci dice Alessandro Gianneschi - si ottengono migliori performance aziendali con maggiori possibilità di crescita. S’investe capitale proprio e si è quindi molto attenti, si ha un contatto diretto fra proprietà e produzione, si è molto più rapidi nel prendere decisioni, si fanno strategie a lungo termine. Non ultimo, si ha un contatto diretto fra imprenditore e clientela, instaurando un rapporto di fiducia diverso, a volte anche molto profondo in termini di relazioni personali. E poi le imprese familiari, dove l’imprenditore è parte attiva nella progettazione e realizzazione del prodotto, investono di più in ricerca e sviluppo e riescono a realizzare oggetti sempre all’avanguardia. Da noi, almeno, ha sempre funzionato così.

Poi, però, le aziende che hanno successo crescono e non sempre crescono bene, nel senso che un uomo solo al comando, imprenditore e manager, può non essere in grado di gestire tutto.

La differenza la fanno gli uomini, le persone che entrano in azienda, un vero patrimonio sul quale papà ha sempre investito molto. L’azienda cresce di pari passo con la crescita dei propri uomini, del loro know-how e specializzazione. Far cresce un apprendista e farlo diventare un operaio qualificato, è un processo lungo sul quale papà ha sempre investito moltissimo. Con mio fratello siamo entrati alla Gianneschi circa 20 anni fa e lui con noi si è comportato come ha fatto con gli altri, seguendoci passo passo, stando costantemente al fianco, “sporcandosi le mani” in produzione così come con i ragazzi che lavorano ai macchinari oppure sviluppando nuovi concept con i tecnici. L’azienda familiare ha anche questo punto di forza che le altre non hanno, il rapporto che si crea fra la proprietà e i dipendenti. C’è maggiore responsabilizzazione e coinvolgimento per chi ti vede ogni giorno lì, presente, pronto ad aiutarlo. Non a caso abbiamo diverse persone entrate qui da giovani, negli anni ‘70, che lavorano ancora da noi. È come fossero di famiglia.

L’aver iniziato così presto in azienda spiega quindi la continuità: siete la seconda generazione alla guida della vostra family company ma non mi pare siate in difficoltà. È dunque la gavetta la soluzione per garantire una lunga vita alle aziende di famiglia?

Non so dirle quale sia in assoluto la ricetta migliore, le posso portare come esempio ciò che è accaduto da noi. Mio padre ha solo cercato di favorire le nostre inclinazioni, per cui mio fratello si è più indirizzato verso la produzione, sulla parte tecnica, sullo sviluppo di nuovi prodotti, mentre io mi sono orientato a lavorare nel commerciale e nel marketing. Abbiamo vissuto vent’anni di azienda e di esperienza dove, oltretutto, abbiamo imparato a gestire l’euforia dei momenti di grande crescita del mercato nautico, dal 2000 al 2007, e quindi dei cantieri che sono i nostri clienti, ma anche il “dramma” del fermo quasi totale che la nautica produttiva ha fatto registrare dopo il 2008. Quando papà è venuto a mancare, nel 2016, e il mercato iniziava a dare segni di ripresa, abbiamo sofferto il grave lutto a livello personale, ma non abbiamo mai vacillato dal punto di vista aziendale perché avevamo piena consapevolezza di ciò che dovevamo fare.

Qual è stato il primo passo?

Continuare a lavorare a testa bassa rimboccandoci le maniche, come ci ha insegnato mio padre, intensificando le attività che in quel momento ci sembravano le più corrette.

Tipo?

Allargare i nostri orizzonti, aprirci a nuovi mercati esteri, consolidando la nostra presenza in quelli dove già eravamo. Aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo per offrire prodotti dai contenuti tecnici differenti, migliori rispetto a ciò che fanno gli altri che nel nostro ambito vuol dire soprattutto affidabilità e prestazioni. Avere più spazio a disposizione per poter produrre meglio e di più. Curare ancora di più il rapporto con i nostri partner commerciali, la rete che vende e assiste i nostri prodotti nel mondo.

Come siete organizzati in questo senso?

Abbiamo una rete che in questi due anni è cresciuta, stiamo cercando di essere più capillari rispetto al mondo della nautica. I clienti sono cresciuti, forniamo più cantieri e un maggior numero di piccole aziende specializzate, che in termini di fatturato, possono sembrare poco rilevanti e invece rivestono un ruolo fondamentale per la nostra credibilità, per la fama del marchio. Loro sono il trait d’union fra noi e l’utilizzatore finale, l’armatore. Un loro errore nell’installazione o nell’assistenza può fare danni gravissimi in termini di reputazione. In questo mondo dove tutti possono comunicare in tempo reale a tutto il mondo, è un danno che potenzialmente si può amplificare a dismisura. Per questo investiamo molto nella loro formazione, come nella comunicazione che accompagna i nostri prodotti, per metterli nella condizione di non sbagliare.

Queste vostre attività a cosa hanno portato in soldoni?

Dal 2009 al 2015 abbiamo vissuto un periodo dove, nonostante la crisi di cui si è parlato, il nostro fatturato è rimasto sostanzialmente stabile, con crescite dell’ordine del 3 o 4% l’anno, ma visto il periodo di crisi lo giudico un buon risultato. Nei due anni a seguire il nostro fatturato è passato da circa 7,5 milioni a 10, con incrementi a doppia cifra ogni anno.

Prima mi ha accennato a una crescita della struttura produttiva…

Già con mio padre si era deciso di ingrandirci per favorire i processi produttivi dell’azienda. Con mio fratello Cristiano abbiamo dato impulso a quell’idea e abbiamo fatto completare rapidamente un ampliamento di 4.000 mq dei nostri capannoni e oggi siamo a un totale di oltre 8000mq coperti, più piazzali e quant’altro.

Ci sono state novità anche sui prodotti?

Oltre ad aver notevolmente ampliato e progettato nuove pompe nel corso degli ultimi anni abbiamo ampliato la nostra offerta, anzi, meglio, integrando verticalmente lavorazioni che a suo tempo facevamo fuori sede. Ad esempio i serbatoi in acciaio inox: prima appaltavamo la caldaia ad un terzista ora li facciamo direttamente e totalmente noi partendo dal taglio laser.

Questo perché preferite avere un controllo migliore della qualità?

Non è la sola motivazione. Preferiamo che chi si rivolge a noi possa avere non solo una pompa o un boiler ma anche tutto il resto degli accessori necessari a installare i nostri prodotti a bordo. Lavoriamo per la totale integrazione, per offrire al cliente l’impianto di cui necessita senza prendere un pezzo qua e uno là. È una garanzia sull’efficienza del sistema, che è progettato tutto assieme e quindi ottimizzato al massimo in termini di performance e affidabilità. Facciamo lavorare meno ingegneri e addetti agli acquisti che con un solo ordine possono avere tutto a disposizione.

Prodotti made in Italy da cima a fondo?

Assolutamente, è una nostra prerogativa che ci differenzia sul mercato.

Non avete paura della concorrenza cinese?

Il nostro cliente le assicuro non cerca un prodotto che sia competitivo sul prezzo col cinese. Si tratta di oggetti che di simile hanno solo le sembianze, ma dentro, nella sostanza siamo su due mondi completamente differenti. I nostri competitor del mercato navale, piuttosto, sono dei veri e propri colossi industriali ai quali cerchiamo di tener testa grazie alla specializzazione, facciamo solo prodotti per la nautica e li facciamo da 50 anni. Il livello tecnico dei nostri progetti, pensati esclusivamente per le barche, la qualità che riusciamo a garantire, la velocità con la quale la portiamo sul mercato, fanno la differenza.

Insomma, non è sempre il grande che prevale sul piccolo ma il più veloce sul più lento…

Noi intanto si corre.

PREVIOS POST
Ucina Confindustria Nautica: il Presidente Mattarella al 58° Salone Nautico
NEXT POST
Ferretti Group stravince ai World Yachts Trophies 2018