Uno stabilimento balneare deserto

Uno stabilimento balneare deserto

Protocolli in materia di riapertura degli stabilimenti balneari

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13/05/2020 - 14:55

La possibile riapertura degli stabilimenti balneari, coinvolge alcuni temi controversi, con riguardo: alla competenza circa i Protocolli e la loro adozione; alla concessione demaniale, alla sua sorte, alla sua durata; all’equilibrio finanziario della concessione stessa; alla responsabilità del concessionario demaniale; alla responsabilità dell’imprenditore, in quanto datore di lavoro; alla posizione di garanzia con riferimento ai clienti dello stabilimento stesso.

Partendo da tale ultimo argomento, per esigenze sistematiche, allo stato, si può osservare che alcune Regioni hanno avanzato delle proposte di Protocollo per la riapertura degli stabilimenti balneari, che contengono prescrizioni, essenzialmente, in ordine alla distanze da mantenere tra le strutture fisiche e alle misure di controllo degli accessi allo stabilimento stesso.

Non si rintracciano, naturalmente sino ad oggi, né Linee guida nazionali né disposizioni di tipo sanzionatorio correlate.

Viceversa risultano adottati un Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure anti-contagio negli ambienti di lavoro, firmato dal Governo e dal Presidente di Confindustria, volto a “coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative”; un Protocollo cantieri e un Protocollo trasporti e logistica adottati dal Ministero delle Infrastrutture in data 24.04.2020.

Quanto alla competenza, occorre partire dal fatto che la tutela della salute è materia a competenza concorrente, da inquadrare, tuttavia, in un momento storico di emergenza nazionale, con formale dichiarazione dello stato di crisi, risalente allo scorso gennaio.

In un caso non dissimile, sottoposto al vaglio della Corte costituzionale, peraltro in epoca molto recente, possono rintracciarsi criteri che paiono attagliarsi molto bene al caso di specie.

Ci si riferisce alla Sentenza n. 246 del 22 ottobre - 2 dicembre 2019 riguardante giudizio di legittimità costituzionale in via principale.

La Corte, trovandosi a valutare una questione attinente le competenze in materia di protezione civile e go-verno del territorio, in caso di eventi sismici ha affermato che “in caso di calamità di ampia portata, riconosciuta con la dichiarazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale, è possibile la chiamata in sussidiarietà di funzioni amministrative mediante la loro allocazione a livello statale (in generale, senten-za n. 303 del 2003). La Corte ha affermato in particolare che le «norme sismiche» dettano «una disciplina unitaria a tutela dell'incolumità pubblica, mirando a garantire, per ragioni di sussidiarietà e di adeguatezza, una normativa unica, valida per tutto il territorio nazionale» (sentenze n. 101 del 2013, n. 201 del 2012 e n. 254 del 2010).

Nelle materie di competenza concorrente possono essere attribuite funzioni amministrative a livello centrale allo scopo di individuare norme di natura tecnica che esigono scelte omogenee su tutto il territo-rio nazionale (sentenza n. 284 del 2016). Pero' anche in situazioni di emergenza la Regione non è comunque estranea, «giacché, nell'ambito dell'organizzazione policentrica della protezione civile, occorre che essa stessa fornisca l’intesa per la deliberazione del Governo e, dunque, cooperi in collaborazione leale e solidaristica» (sentenza n. 8 del 2016).

È dunque necessario un idoneo coinvolgimento delle Regioni: da una parte, la chiamata in sussidiarietà a livello centrale di funzioni amministrative in caso di emergenza di rilievo nazionale richiede il rispetto del principio di leale collaborazione; dall'altra parte, nel caso sottoposto alla Corte, tale necessario coinvolgimento veniva in rilievo anche perché l'avvio della ricostruzione incrociava la competenza concorrente delle Regioni in materia di «governo del territorio».

Pare, dunque, che da questo recente e non dissimile caso, possano ricavarsi principi ermeneutici che possano soccorrere nel caso degli stabilimenti balneari, ove un quadro di linee guida nazionali si porrebbe come necessario e come guida generale - nel rapporto già detto con le Regioni - anche al fine di evitare sperequazioni, anche di ordine anticoncorrenziale.

L’adozione di un Protocollo impatta, poi, in modo diretto non solo sulla possibilità di riaprire gli stabilimenti balneari ma anche sulla conseguente responsabilità del concessionario, sia nei riguardi dei dipendenti, che dei terzi/clienti.

Il Protocollo, infatti, indipendentemente dai contenuti che potrà avere - e dall’eventuale contenuto san-zionatorio diretto che alcuni dei Protocolli citati hanno, giungendo finanche alla sospensione dell’attività che non rispetti le prescrizioni ivi contenute - costituirà il parametro tecnico - al pari almeno di una norma tecnica di qualità - cui commisurare la responsabilità del concessionario.

Quanto al primo aspetto, ossia la responsabilità nei confronti dei dipendenti, attualmente, in assenza di li-nee guida speciali per il settore, occorrerà riferirsi alle disposizioni di legge previste per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (Decreto legislativo n. 81/2008), ed anche alle prescrizioni specifiche emanate, in via generale, nei decreti Covid di fine aprile.

Quanto, invece, ai rapporti con la clientela, quanto stabilirà il Protocollo appare molto più dirimente, non essendovi norme generali di riferimento: oltre a criteri di tutela generale, quali le prescrizioni a carico dei clienti, la loro necessaria pubblicizzazione, le forme di controllo degli accessi, occorrerà valutare se ci si tro-vi di fronte ad un rischio “prevedibile” e come tale rischio sia contenibile dal concessionario, anche con ampliamento e revisione dei documenti di valutazione dei rischi, nel caso di organizzazione societaria del concessionario stesso.

Ferma restando la prevedibile difficoltà di ricondurre un eventuale contagio, con certezza, alla permanenza nello stabilimento, e, dunque, ad un nesso causale certamente difficilmente individuabile, la sussistenza o meno di un Protocollo appare molto rilevante nella definizione di “rischio prevedibile”.

La posizione del concessionario, anche in relazione alla giurisprudenza, potrebbe persino apparire riconducibile ad una posizione di garanzia, nei riguardi dei terzi/clienti, con un’attenuazione dei profili soggettivi di colpa, a favore di una responsabilità oggettiva, con ogni conseguenza di ordine anche assicurativo.

Occorre, infine, precisare che l’assenza di un Protocollo non potrà costituire causa di forza maggiore a giustificare la mancata apertura dello stabilimento, atteso che le norme generali esistenti consentono di proseguire l’attività lavorativa; precisando, tuttavia, che l’assenza del Protocollo attenuerebbe notevolmente la responsabilità del gestore.

Infine, ma non in ordine di importanza, vengono in rilievo alcuni aspetti più direttamente legati alla natura della concessione demaniale marittima.

Il primo attiene alla durata della concessione e al suo equilibrio contrattuale, che è certamente influenzato, ed in maniera preponderante, dalla crisi pandemica: da un lato esistono già norme nell’ordinamento che consentono la riduzione del canone a fronte di eventi eccezionali ed indipendenti dalla volontà del concessionario che diminuiscono in modo sensibile il godimento del bene (se infatti gli stabilimenti apriranno avranno minori introiti, dovuti al distanziamento, e maggiori costi, per l’adempimento delle misure di sicu-rezza, i costi assicurativi aggiuntivi, la formazione del personale).

Dall’altro lato vi sono altri profili che possono essere influenzati dalla vicenda Covid e ci si riferisce alla du-rata delle concessioni demaniali, ferma restando l’estensione della durata già operata dalla Legge 145/18: come accaduto in situazioni non dissimili per altro genere di concessioni - e altra entità di valori economici in gioco, almeno per singolo operatore - occorrerà valutare aiuti di Stato per il sostegno del settore, compresa la durata delle concessioni, certamente compatibili ex lege ai sensi dell’art. 107 secondo comma, let-tera b) del TFUE.

Cristina Pozzi, Piero Bellandi

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