Il ketch Orsa Maggiore, fonte Marina Militare, Copyright Gianluca Di Fazio

Il ketch Orsa Maggiore, fonte Marina Militare, Copyright Gianluca Di Fazio

Non ci sono più le barche di una volta: vela, la scomparsa del ketch

Barca a vela

26/05/2024 - 07:03

Se limitiamo il campo alle barche a vela sotto ai 24 metri forse qualche lettore avrà notato che i ketch - chiamato anche checchia, in italiano - non esistono più. Fino a qualche tempo fa era normale incontrare barche a due alberi con la maestra a prua e la mezzana più piccola a poppa, oggi rimane qualche usato cui talvolta viene amputata la mezzana perché manca quell’intuito marino che consente di mettere a segno le vele del ketch finché il timone, quale che siano l’andatura e la forza del vento, non sia docile e leggero.

In effetti il ketch ha prestazioni leggermente inferiori a quelle dello sloop ma bisogna intendersi sulla parola “prestazioni”. Da sempre il fatto di avere più alberi non è per andare più veloci ma per ridurre la dimensione della singola vela da una parte e dall’altra, per equilibrare meglio la barca.

Il processo odierno di fabbricazione delle barche a vela parte dall’assunto che quello che va bene in regata dopo qualche anno andrà a beneficio di gran parte degli utenti, così come il sartiame in acciaio, l’albero d’alluminio, il siluro di zavorra, gli avvogifiocchi, i winch molto potenti, le vele in tessuti rinforzati e a taglio radiale, l’avvolgimento top down per gli asimmetrici e tanti altri.

Ora però sappiamo che la regata presenta condizioni particolari: un equipaggio in gamba e pronto alle fatiche, uno o più timonieri esperti pronti a intervenire, in generale la regata richiede una conduzione attiva. Rispetto alla riduzione delle vele le barche da regata riducono poco: barche leggere, vele piatte, disponibilita a navigare sbandati. Inoltre, anche se una vela sbatte per il troppo vento, a chi importa: “siamo in regata”. Anche le emergenze non sono previste ed è ben difficile che una barca da regata si metta alla cappa, anche nel più furioso dei maltempi.

Il ketch invece emerge in condizioni dure grazie alla sua comodità di conduzione: diverse vele piccole sono più facili da mettere a segno di una enorme, difficile da mandare a riva e ancora di più da ridurre o serrare; un piano velico più basso sbanda di meno la barca; con vento forte invece di terzarolarre si ammaina la maestra e si procede con fiocco e mezzana in grande comodità; al lasco con asimmetrico, carbonera e mezzana si procede stabili e veloci; per mettersi alla cappa basta virare tenendo il fiocco bordato sopravvento e voilà la cappa è fatta, la si rende poi più o meno filante mettendo al centro il timone. In caso (Dio ce ne guardi) di disalberamento il kech ci consente di usare un'attrezzatura di fortuna con l’albero rimasto. Col ketch si ormeggia a vela accostando di prua o di poppa, usando la mezzana come timone o per abbriviarsi in retromarcia scontrandola. La mezzana è un'ottima riding sail e, piatta al centro nave, mitiga il brandeggio all’ancora con vento forte. Il ketch può dirigersi con tempo maneggevole anche senza timone, bilanciando bene le vele. Il boma di mezzana serve poi come gru per issare a bordo i carichi pesanti.

Concludo come al solito con un invito alla soluzione custom. Spesso chi parla male del ketch non ne ha mai avuto uno, e oggi le uniche possibilità sono: acquistare qualche vecchia cariatide o costruirne uno nuovo, che unisca le caratteristiche positive del nuovo e del vecchio.

Un bel ketch in legno: is a joy forever !!

Michele Ansaloni

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