Innovare lo yacht design: idee e prospettive di Antonio Luxardo

Yacht Design

05/12/2025 - 06:27

Quando sin da bambino ti affacci dalla finestra di casa e vedi lo scintillio mare, è difficiletenere separato ciò che tutti giorni colpisce il tuo cuore da quelloche poi diventerai da adulto. E così, spesso succede che la professione si intrecciacon il luogo di origine, con la passione che si insinua nell’animo e con quel “qualcosa” di speciale che passa nel DNA. Ad Antonio Luxardo è successo proprio questo. Nato a Bonassola, in Liguria, le barche le vedeva in mare da piccino ma anche con il padre, capitano di yacht. Dopo la laurea in Architettura, conseguita a Genova, e la specializzazione in yacht design, Luxardo inizia a progettare per vari cantieri dediti alla costruzione di barche in legno e anche nel campo delle navi da crociera (grazie alla tesi sviluppata in questo specifico campo). Con all’attivo collaborazioni con i grandi cantieri del lusso italiano (Amer, Baglietto, Benetti, CRN, Italian Sea Group, Perini Navi, San Lorenzo, Baglietto), oggi, Antonio Luxardo Design, firma sia le nuove linee di Amer Yachts sia il nuovo corso di Cantieri di Pisa. PressMare l’ha incontrato e, chiacchierando, ha colto una particolare fiamma che arde nel petto: è il desiderio di portare qualcosa di nuovo nello yacht design.

PressMare - Antonio Luxardo, visto o i trascorsi, la risposta alla domanda “cosa vorrai fare da grande?” era scontata…

Antonio Luxardo - Sì, le idee le avevo chiare sin da piccolo. Alle elementari in un tema scrissi che volevo fare il progettista di barche. Mi piaceva anche fare il comandante. Era il lavoro di mio papà, capitano a bordo dei primi megayacht. Con lui frequentavo porti, saloni nautici, cantieri di rimessaggio. Anchei miei zii e i miei nonni andavan per mare. Il navigare è un istinto che mi porto dentro. Ho iniziato, come tanti,con la vela, sui laser. Ora sono un amante del gozzo: lo tengo a Bonassola, dove ho le mie radici salate.

PM - L’argomento “progetto”invece l’ha approfondito a Genovaalla facoltà di Architettura…

AL - Sì, studiare Architettura insegna ad avere una visione d’insieme più ampia ea sviluppare la capacità di osservare, di capire gli aspetti principali da cogliere e di gestire e definire gli spazi. E poi lo studio della Storia dell'arte che permette di capire meglio le proporzioni; mi affascina sempre analizzare le opere di artisti e architetti, quelli che hanno portato innovazioni, Leonardo, Michelangelo e poi Le Corbusier. Ho studiato anche urbanistica. Insomma, credo che avere una formazione ampia, permetta di pensare in modo innovativo.

PM - Che cos’è quindi per lei il progetto?

AL - È un percorso composto dall’idea che ti arriva nel momento più inaspettato, di notte, la mattina presto o mentre cammini. Questo instilla l'eccitazione del creare. Poi c’è l’elaborazione, quando raccogli le idee e le sviluppi: è la fase più interessante del percorso. Che approda nella soddisfazionedel definire il progetto, con la speranza poi di vederlo un giorno realizzato. Io inizio sempre da un disegno a mano. Non amo il computer, è un aspetto che delego al mio team, composto da persone esperte nella elaborazione dei render e in 3D.

PM - E da dove partite?

AL - Ci dedichiamo principalmente alle linee esterne e alla realizzazione dei piani generali. Gli interni li realizziamo solo se il cliente lo richiede.
A volte si parte da un dettaglio e da qui si sviluppa la barca. A volte succede il contrario: si parte dall’impostazione generale e poi si va a creare il dettaglio. Ma non prescindo mai dalle funzioni. Penso in particolare a cosa la persona desidererebbe poter fare a bordo o vorrebbe avere per stare bene con sé stesso e con la natura che c'è intorno. Era un fattore che sentivo forte ai tempi della laurea nel 1996: la mia tesi fu il progetto di una nave da crociera di 110 metri con ascensori a vetri sui fianchi, aree comuni vetrate, portelloni che creavano piscinesul mare.

PM - Quali sono i suoi stimoli principali?

AL - Viaggiare. Vedere cose diverse è un continuo stimolo: più cose si osservano, più idee arrivano. Quando lavori nel design delle barche rischi di essere ingabbiato all'interno di una struttura mentale che ti porta sempre a pensare come è fatta la barca, ma non a pensare come potrebbe essere.

PM - E qual è il suo rapporto con altri ambiti del design?

AL - Sicuramente quello del car design: è un settore molto interessante, richiede competenze ben precise. Dal 2001 al 2019 abbiamo lavorato molto con la Cina in un momento in cui questo Paese era in forte sviluppo: le città crescevano e qui noi abbiamo fatto diverse cose, tra architettura e automotive. Il car design ti aiuta a sviluppare la sensibilità verso le superfici, il loro andamento, i loro riflessi. Nel periodo “cinese” abbiamo collaborato con Luigi Colani (l’eclettico designer tedesco, purtroppo mancato nel 2019), grande sostenitore del design organico; insieme abbiamo realizzato un progetto di un catamarano di 50 metri. Un’esperienza di grande formazione e grazie a lui abbiamo fatto anche incontri speciali, come quello di Fabio Buzzi, un maestro delle performance e della velocità.

PM - Parla molto di “noi”…

AL - Il team è fondamentale. Ci credo molto. Nel mio studio, Antonio Luxardo Design, ci occupiamo di progettazione. Con Optima Engineering, società che ho creato con Michele Zigniego, seguiamo l’ingegnerizzazione. Optima è lo strumento che ci consente di progettare qualsiasi tipo di imbarcazione everificare sia veramente costruibie; inoltre, trasferendo subito le ideein un ambito ingegneristico e normativo, il lavoro si velocizza.

PM - Su quale dimensione di imbarcazione si sente più a suo agio?

AL - Per molto tempo ho lavorato su imbarcazioni piccole, 6-10 metri. Poi sono passato a misure intorno ai 15-24 metri, quelle che mi sentivo più al mio agio, perché erano anche le barche legate ai miei trascorsi formativi di famiglia. Negli ultimi anni invece sono passato a lavorare molto su imbarcazioni da 30 metri in su, fino ad arrivare ai 70 e 90 metri.

PM - Attualmente progetta per Amer Yacht ed è anche direttore creativo di Cantieri di Pisa. Come si conciliano queste due collaborazioni?

AL - Si è sviluppato tutto contemporaneamente. Con Amer Yacht siamo partiti 5 anni fa, con i disegni per progetti in acciaio, perché conoscevo Barbara Amerio da tempo: una collaborazione nata in maniera spontanea. Nello stesso momento la nuova proprietà dei Cantieri di Pisa stava cercando di dare nuova identità al cantiere: partecipai a una sorta di gara tra una quindicina di designer e individuarono nelle mie idee il nuovo corso, perché rispecchiavano di più il marchio e la storia degli Akhir.

PM - Per Amer in particolare cosa ha sviluppato?

AL - Siamo partiti con l'acciaio. Infatti il primo Amer in costruzionea a mia firma è un’ammiraglia di 74 metri; fa parte di una linea che parte dai 42 metrie include un 45, un 50, un 58 metri. In più ho disegnato la nuova linea in vetroresina (di 96, 106 e 126 piedi) e un 146’ in alluminio.

PM - Tanti progetti in corso... Tra di loro esisteun filo conduttore?

AL - Innanzitutto sono progetti concepiti con la stretta collaborazione della famiglia Amerio. Lavoriamo davvero in team: il fondatore Fernando Amerio e i figli, Barbara e Rodolfo. Io ho iniziato a disegnare i concept ma ragionando molto assieme. Con loro c'è una uno scambio di informazioni che derivano dalle richieste dei clienti e dalle loro esperienze. La linea in vetroresina è composta da barche sportive e performanti ma al contempo molto spaziose. Il 146’ in alluminio rappresenta la prosecuzione della barca in vetroresina, ma con dimensioni più grandi con spazi enormi (il salone, per esempio, è a tutta la larghezza senza passavanti esterni) e di grande stile. La linea in acciaio, è caratterizzata dalla zona di prora molto slanciata e una forma affusolata, con line aggressive, alle quali ho abbinato una timoneria con i vetri rovesci. Questa caratteristica è presente anche nel modello in alluminio,ma dispone di unpiccolo escamotagedi design, unelemento che cela la presenzadel vetro rovescio.

PM - Oggi si parla molto di sostenibilità in campo nautico…

AL - Sì, non si può più prescindere da una visione green. Con Amer, famiglia molto attenta all’ecologia, Barbara in particolare, abbiamo sviluppato una carena performante e stiamo installando tre motori Volvo Penta dotati di IPS sulle tre unità più grandi. Ma progettare con occhio green significa per me prima di tutto pensare a risparmiare energia e anche riutilizzarla. Una cosa che non si fa mai è utilizzare il calore dei motori per esempio. Nell'industria tradizionale, dove si produce calore, questo viene fatto come consuetudine. È importanteanche utilizzare materiali prodotti con una filiera ecologica e anche isolanti, come i vetri riflettenti. Mi piacerebbe molto riuscire a ricavare energia dal movimento del mare, creare una sorta di dinamo, che genera energia col rollio della barca anche all'ormeggio. Ci sono tante idee un po' fantascientifiche oggi, ma che domani potrebbero portare qualche soluzione nuova.

PM - Cosa significa per lei innovare?

AL - Vuol dire portare qualcosa di nuovo. Sto facendo degli studi che spero possano avere un senso nel futuro, per raggiungere dei cambiamenti nello yacht design. Sulle barche più grandi per esempio ci sono ancora troppi percorsi verticali, con tante scale che io vorrei eliminare e sostituire con passeggiate orizzontali, lungo la barca. E poi desidererei portare a bordo tanto verde, come anticamente, e creare un maggior contatto con la natura. Con il termine "giardinetto" si indicava infatti la zona laterale nella senzione di poppa delle navi, dove si tenevano piante e spezie. La tecnologia oggi aiuta il designer a trovare nuove soluzioni in linea con ciò che clienti desiderano, e aiuta a realizzare oggetti davvero unici. Sono convinto che il cliente visionario ci sia sempre!

Désirée Sormani

©PressMare - riproduzione riservata

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