Esagerare nel nome del lusso: l'ipertrofia delle barche
“Chi se la mangerà tutta sta roba?”: chiedeva sempre un mio amico saggio e burlone ai matrimoni davanti al chilometrico menù.
La stessa sensazione che provo e la stessa domanda che mi faccio ultimamente passeggiando ai saloni nautici e osservando complessivamente le barche esposte. Quello che salta agli occhi è la ridondanza di elementi stilistici e/o funzionali: tutto è ripetuto e mischiato assieme o, nel migliore dei casi, ingigantito per dare la sensazione di opulenza, ricchezza, sperpero.
La parola chiave, che tutti o quasi, usano per spiegare queste scelte è "lusso". Secondo la vecchia logica che la ricchezza è rappresentata dallo spreco e dall’esagerazione (esattamente come nei matrimoni di una volta): di oggetti, di materiali, di spazio… di cibo.
E ammesso e non concesso che questo sia vero, cosa c'è di più inutile di una barca da diporto rispetto ai bisogni "naturali e necessari" dell'uomo? Come ci insegna Epicuro sono essenzialmente due: alimentarsi e riprodursi. Apparentemente un megayacht non serve al primo (se si esclude l'enorme quantità di famiglie che, sulla sua realizzazione, ci campano) e verrebbe da dire, che serve ancor meno al secondo.
A proposito di quest’ultimo che ha, come sappiamo, a che fare con la conservazione della specie, siamo sicuri che tutta questa opulenza non sia dovuta alla atavica necessità del maschio di attirare le femmine "migliori" per garantire il proseguimento e il "miglioramento" (quante virgolette mi tocca mettere quando scrivo queste cose) della specie?
Vedete com'è tutto concatenato, per niente scontato e come tutto diventa relativo!?
E allora introduciamo un altro elemento di riflessione: credo tutti concorderete con me se affermo che la barca altro non è (o dovrebbe) essere che il mezzo per frequentare e vivere il mare, in tutte le sue declinazioni.
È quindi la passione per il mare e la navigazione, il drive, come dicono quelli bravi, di tutto quello che progettiamo, realizziamo e vendiamo, vale a dire il motore del mercato delle barche.
Ma se così è, siamo sicuri che per assecondare e vivere compiutamente questa passione serva tutta sta roba? E se scoprissimo che, oltre che inutile, potrebbe essere addirittura pericolosa?
Sappiamo tutti che la priorità, in termini di sicurezza in mare, è: GALLEGGIARE e sappiamo anche che una caratteristica basica per rimanere a galla è la LEGGEREZZA o meglio, il dislocamento relativo, cioè il rapporto dislocamento / area di galleggiamento, che si minimizza mettendo meno chili sugli stessi metri quadrati. Oggi avviene il contrario: c'è una tendenza al "riempimento" che contrasta visivamente con questo concetto chiave. Inoltre, se questa enorme quantità di accessori - arredi, gadget, toys, ecc. - non è ben progettata genera, oltre che peso e costi inutili, un'inevitabile quantità di malfunzionamenti e la conseguente necessità di manutenzione che, a sua volta, produce ancora costi e fermi del mezzo, perversamente concentrati nei pochi periodi di vacanza.
Senza scomodare il mitico arch. Mies Van De Rohe e il suo intramontabile motto: “less is more”, io credo che i tempi siano maturi per avviare una seria riflessione sui danni che questa tendenza all’ipertrofia delle imbarcazioni da diporto sta causando, non ultima la disaffezione da parte degli armatori più esperti e più competenti che, non trovando quello che cercano a causa dell’altra perversione del mercato, vale a dire l’inarrestabile omogenizzazione delle proposte, alla fine, rinunciano e si danno all’ippica … o al golf. o al giardinaggio o alla lettura dei classici… perché non dimentichiamoci mai che il mondo può continuare ad esistere anche senza il diporto nautico.
Infine la considerazione più importante: Queste barche così “gonfie” e fuori scala, SONO GENERALMENTE BRUTTE e sfido chiunque ad affermare che questo giudizio sia soggettivo.
Da progettista so bene quanto fosse facile, per chi avesse studiato e fosse dotato di un minimo di buon gusto, progettare belle barche quando i rapporti fra le misure dello scafo erano dettati da secoli di esperienza e affinamento, e anche i traghetti e i pescherecci, così come le navi militari, rispettavano dei canoni “classici” nel senso di mutuati dall’esperienza e condivisi fra tutti gli operatori. Oggi che la fantasia (soprattutto dei clienti) e la potenza di calcolo, nonché gli strumenti di rappresentazione grafica, permettono qualsiasi scelleratezza, nessuno ricerca più L’ARMONIA, forse proprio perché una delle caratteristiche di un oggetto armonico sono le sue forme “naturali”, cioè legate all’uso, alle tecniche, ai materiali costruttivi e all’ambiente, e quindi logiche, accettate da tutti. Caratteristiche che oggi, i contemporanei, traducono con “scontate, vecchie, banali” e che, soprattutto, non richiedevano mutamenti frequenti. Per competere sul mercato globale di oggi, dove tutto si mischia e tutto è permesso, bisogna “stupire”, sfruttando l’effetto wow che si attiva solo quando ci sono delle forzature, quando si esagera e si esce dagli schemi e le categorie tradizionali, del bello e del brutto, vengono sostituite da concetti come: trendy, spettacolare, divertente, ecc… Questa incostanza del gusto corrente, che non ha più il tempo di formarsi per successivi affinamenti, che non si basa più su una specifica cultura, sul genius loci, sull’ambiente in cui si è sviluppato e non ha quindi tempo per radicarsi, è esattamente quello che serve all’industria per continuare a produrre, inducendo obsolescenza formale più e prima che obsolescenza tecnica.
In poche parole, analogamente a quanto avviene nella moda, dobbiamo fare invecchiare rapidamente oggetti che, diversamente dai capi di abbigliamento e grazie ai progressi tecnici, rischiano di durare tutta la vita e oltre.
Lo so che molti di voi stanno pensando che anch’io sono una comparsa in questo teatrino. Sono d’accordo ma credo che farsi un esame di coscienza ogni tanto, aiuti a dare un po’ di senso a quello che facciamo evitando, come dice il grande Lucio, “le buche più dure”.
Massimo Franchini