Carlo Galeazzi e il suo yacht design oltre le mode
Carlo Galeazzi è l’architetto e yacht designer che non smette di essere di attualità. Ha lasciato il segno in intere generazioni di yacht e dei loro armatori e ancora oggi quando si legge la firma Studio Galeazzi e Minotti su un progetto è quello della barca del momento.
Eppure sono quasi quarant’anni che la nautica plaude e premia il suo lavoro che non stanca, non passa di moda ma anzi risulta ancora essere di ispirazione per progetti ambiziosi e innovativi.
E pensare che il mare è né la sua passione né la sua prima scelta per i momenti di tempo libero, che predilige trascorrere in montagna, tra quelle alte cime da cui il mare piuttosto lo si può ammirare! Ma la sa lunga su come far navigare gli armatori e la loro soddisfazione è la misura del suo talento.
Carlo Galeazzi non è propriamente un “figlio d’arte”, come a volte ci si aspetterebbe da un professionista capace ma la sua famiglia nella nautica ci sta dentro fino al collo: dal nonno materno arruolato in Marina, al padre appassionato di modellismo di barche e navi, fino alla cugina, Paola Galeazzi, che gli propose di fare la gavetta presso il suo studio, che condivideva con il marito Gianni Zuccon. E’ al loro fianco che Carlo, ancora studente universitario comincia a muovere i primi passi di quello che sarebbe diventato un mestiere di successo.
Lo Studio Galeazzi e Minotti
Pressmare – Dalla facoltà di Architettura ai primi lavori: sebbene la nautica non fosse la sua ambizione cosa l’ha fatta appassionare di barche? C’è stato un progetto in particolare che l’ha fatta innamorare?
Carlo Galeazzi - La passione per la nautica è nata naturalmente, dopo poco tempo che lavoravo nello studio di Zuccon. Facile innamorarsi delle barche, di questo mondo così piccolo ma tanto denso di fascino come quello nautico. Se è vero che il primo amore non si scorda mai, il mio è stato quello per l’Ipanema 45, il primo progetto realizzato “tutto da solo”, che per me ha un duplice significato: il mio iniziale traguardo da giovane architetto navale e quello sentimentale, perché in un modo o nell’altro mi ha condotto a colei che oggi è diventata la donna della mia vita!
Ma ho un forte legame anche con alcuni progetti realizzati per i Cantieri Baia, con cui ho collaborato per ben 25 anni. E’ stato un periodo che ricordo piacevolmente, per grandi emozioni vissute e altrettante soddisfazioni. Tutto è iniziato quado mi chiamarono per disegnare gli interni di un 30 metri che avevano progettato per un armatore; era un flybridge, non in tipico stile Baia ma da questo incarico si instaurò un buon rapporto tra me e il cantiere e ben presto crebbe la fiducia del Dott. Capasso nei miei confronti, al punto da affidarmi i futuri progetti concedendomi un’ampia autonomia.
Baia OneHundred
Era l‘inizio di un periodo di successi per me e di grande spinta innovativa - la maggiore della mia carriera! - che raggiunsero il loro picco con il Baia One Hundred: un autentico concentrato di innovazione, un progetto “spinto” e difficilissimo, un vero azzardo per l’epoca… Una scommessa tale da non dormirci la notte, soprattutto per me, che ancora oggi sento addosso la responsabilità di ogni creatura che disegno, nella consapevolezza che dalla mia penna dipende il successo del cantiere. Ma tutto filò liscio e Cantieri di Baia vendette ben 13 unità di quel coraggioso gioiello di 30 metri: tantissime, se si pensa all’audacia del progetto, al momento storico piuttosto critico (erano gli anni della crisi economica), alla realtà “locale” del cantiere.
Baia OneHundred
PM – Nella sua carriera ha collaborato con i principali cantieri navali del panorama internazionale: si è sempre trovato d’accordo con le richieste che le sottoponevano?
CG - In realtà no: se non sono d’accordo con un progetto e lo ritengo sbagliato o semplicemente non ne condivido le caratteristiche, preferisco rinunciare. Ed è quello che ho fatto nella mia carriera. Fortunatamente però, sono state solo sporadiche occasioni…
PM – Da quando ha iniziato a disegnare barche, quali sono i principali cambiamenti che ha osservato nelle esigenze e conseguentemente nelle richieste del mercato?
CG - Sicuramente posso riassumerle in tre punti. Il primo è il design, che come si può immaginare è legato alle mode e ai gusti del momento. Il secondo elemento fondamentale è la tecnologia: è questo il fattore che ha permesso tante innovazioni. Basti pensare alle finestre, che sono state ampliate negli anni fino a toccare scafo. Dai tradizionali oblò, piccoli e angusti, che tanto poco spazio lasciavano alla luce, fino alle grandi e spettacolari finestrature che sfiorano il pelo dell’acqua! Sembrano un miracolo per chi le guarda dall’esterno ma sono semplicemente il frutto dell’evoluzione tecnologica. Infine lo stile di vita, che è cambiato e con esso si è modificato anche l’approccio alla barca: il suo utilizzo, che ha subito una profonda trasformazione. Oggi possiamo parlare di “uso totale” dello spazio. Una volta gli yacht avevano parti del tutto inservibili mentre oggi si punta a sfruttare ogni metro quadrato. Questo è o almeno dovrebbe essere, l’obiettivo di un progettista, di un architetto o di chi in generale si occupa del layout.
Chris Craft Launch 35 GT
PM – C’è del sarcasmo?
CG – Effettivamente si: oggigiorno c’è ancora chi realizza progetti che personalmente non condivido, perché sfruttano con poca intelligenza e ancor meno sapienza gli spazi di bordo… Con gli strumenti e l’esperienza che ormai abbiamo a disposizione non si può disegnare una barca che ha spazi non fruibili! E’ una questione di buonsenso. Prendiamo un maxi open: sappiamo che può volare fino a 50 nodi; ha una prua ampia ma l’esperienza mi insegna che non è godibile durante la navigazione. La logica mi spinge a valorizzare il pozzetto poppiero. E' li che devo destinare le mie energie. La progettazione è ragionamento. E ciò mi consente di essere innovativo.
PM – Designer, armatori, cantieri: chi esercita la maggiore influenza nella nascita di un nuovo modello? E’ il mercato che condiziona le scelte di chi compra oppure si adatta ai desiderata degli armatori? E i designer/progettisti, che ruolo giocano in questo delicato meccanismo?
CG - La risposta non è univoca. Dipende molto dall’influenza del cantiere e dell’armatore. Un cliente che commissiona la costruzione di un 50 metri avrà naturalmente voce in capitolo sulla progettazione e i suoi desiderata saranno oggetto di analisi da parte di chi si occupa del concept della nave. D’altro canto, un cantiere di fama internazionale si farà condizionare relativamente dalle mode del momento e men che meno dalle richieste del singolo ma piuttosto seguirà il filo di quelle che sono le sue strategie, certamente frutto di un’oculata pianificazione. Diverso è il caso di un cantiere emergente, che punterà piuttosto a soluzioni nuove e, perché no, audaci e “modaiole” per conquistare l’attenzione degli utenti e accaparrarsi il consenso del mercato.
Di fondo, tuttavia, occorre una conoscenza di base tra progettista e cantiere, tenendo sempre bene a mente che gli armatori sono i soli a poter segnare la sorte e il successo di una imbarcazione.
Fortunatamente nella mia carriera, come è accaduto ad esempio con Azimut Yachts, ho avuto molta libertà di azione. L’importante nel concept di un nuovo modello era mantenere la coerenza con la gamma, dando la giusta dose di innovazione.
Chris Craft Launch 31 GT
PM - Dai Chris Craft agli Azimut Yachts, ai Cantieri di Baia, Cantieri di Pisa e di Lavagna… E ancora Canados, Technema Posillipo, San Lorenzo, Italcraft, Spertini Alalunga, Benetti e chi più ne ha, più ne metta! La sua “bacchetta magica” sembra essere capace di rendere favola senza tempo ogni yacht a cui a dato forma. Carlo Galeazzi di barche ne ha disegnate tante, che si tratti di concept, layout, architettura, design, stile o general arrangement. Dai 30 piedi ai 30 metri o giù di li: cosa cambia nel suo lavoro e quali differenti difficoltà si incontrano?
CG - Nella mia vita professionale, specialmente per quel che riguarda la cantieristica italiana, vivo una dicotomia su due differenti mercati: da un lato quello delle cosiddette “barche grandi”, che puntano a fare prodotti esclusivi, talvolta somiglianti a un “vestito su misura” e dall’altro le barche di più piccole dimensioni, che sono tendenzialmente più orientate ai grandi numeri.
Un progetto per me è sempre una sfida, che incontra difficoltà diverse: se da un lato gli spazi ridotti richiedono uno sforzo maggiore in termini di ottimizzazione, dall’altro a bordo di uno yacht l’impegno è rivolto a stupire, inventando qualcosa che risulti ogni volta nuovo senza però discostarsi troppo dalle linee-guida del cantiere…
Il segreto è proprio questo: sapersi adattare allo spirito dello shipyard. Alcuni progettisti sono l’anima del cantiere! E questa è sempre stata l’idea che ha ispirato ogni mio lavoro, ragione per cui il mio studio ha sempre cercato di non avere uno stile specifico e di non essere per forza “riconoscibile”, nell’intento di adattarci di volta in volta all’anima del cantiere. Chiaro è che quando si parla di grandi numeri cercheremo di fare un progetto che accontenti più armatori possibile.
Chris Craft Launch 28 GT
Quando collaboriamo con realtà “coraggiose”- ma non sono tante- forzeremo un po' di più la mano puntando su progetti che possano segnar le tendenze del mercato… Bisogna cercare il giusto equilibrio, a prescindere dalle dimensioni della barca. Compito del progettista è anche quello di tarare il progetto sulla realtà del cantiere, nella consapevolezza dei suoi punti di forza - come potrebbero essere le maestranze- e di debolezza.
PM – C’è stato un imprenditore con e per il quale si è divertito a progettare?
Ho sempre preferito lavorare per i cantieri piuttosto che per gli armatori: mi è sempre piaciuto “inventare l’armatore”. Nella mia vita ho prevalentemente progettato interni, immaginando la sua vita a bordo. E’ uno sforzo maggiore, rispetto a quello richiesto per soddisfare una richiesta specifica ma regala grandi soddisfazioni. Mi è capitato anche che un acquirente subentrasse nella fase iniziale di un progetto: in tal caso ha inevitabilmente “interferito” con la sua genesi e io stesso mi sono ritrovato a estendere la mia opera anche agli esterni… E qui entra in gioco un ulteriore fattore: il feeling tra armatore e progettista, con il benestare e la disponibilità del cantiere.
PM – Tra le sue collaborazioni più recenti c’è quella con Tecnorib. Da settimane si parla del nuovissimo Tecnorib Pirelli 50 e della sua “variante”, la V Marine Limited Edition, di cui lei ha curato il design degli interni. Ci racconta come è nato questo progetto?
E’ stata una collaborazione tanto inaspettata quanto interessante. Quando sono stato contattato da Vincenzo Soria per un layout alternativo degli interni rispetto a quello proposto da casa madre, non ho avuto una richiesta specifica da parte sua ma ci siamo subito intesi e le idee sono maturate rapidamente. Conosco Vincenzo da più di 20 anni, da quando lavorava al fianco dell’allora dealer romano di Azimut Yachts, Giovanni Danieli.
L’ho ritrovato imprenditore e dalla nostra collaborazione è nato un progetto di interni di questo nuovo maxi rib davvero interessante. Il risultato è un layout piuttosto semplice per una barca di grandi dimensioni ma del tutto nuovo a bordo di un gommone: si tratta di un open space sottocoperta con bagno che si chiude solo all’occorrenza. Quando utilizzo le porte “a petalo” isolo la cabina di prua da quella di poppa e creo un bagno con doccia a tutto baglio, da apprezzare in totale comfort; ma quando apro le porte ho un ampio respiro! Gli spazi sono intelligenti e razionali, con porta che “si ripiega” per isolare i soli servizi. C’è addirittura un ingresso indipendente per la cabina di prua, grazie a una apertura ad ala di gabbiano che si solleva sulla sinistra, poco oltre il parabrezza, per garantire privacy agli ambienti sottocoperta.
Negli ambienti piccoli è importante che gli spazi si adattino alle funzioni. In questo caso l’idea del bagno proviene dal mondo dei camper di lusso: mezzi notoriamente dotati di un volume regolare, un rapporto in lunghezza e meno in larghezza rispetto alle barche - su strada la larghezza massima consentita è di 2,5 metri - ; da ciò è scaturita una certa logica di layout che prevede il salone davanti, il bagno al centro e la camera nella parte posteriore del camper.
Dembell Motorhome con interni dello Studio Galeazzi Minotti
PM – Una interessante contaminazione…
CG – Esattamente. Le contaminazioni sono belle e necessarie, oltre che stimolanti. Ci ispiriamo spesso ad altri settori, frequentemente più avanzati risetto a quello nautico. Ho sempre un occhio all’automotive, che mi porta a guardare avanti… come piace a me. Il progettista di una barca deve tenere conto di molti aspetti. Primo tra tutti il layout, ovvero l’organizzazione degli spazi, il design, il décor… Ragione per cui nel complesso lavoro della costruzione di uno yacht entrano in gioco professionisti diversi.
Come architetto, il mio compito primario è sempre stato quello di ideare layout intelligenti e innovativi, processo per cui ho tratto ottimi insegnamenti proprio dal mondo dei motorhome, ai quali come accennavo mi sono ispirato per la nautica ma mi sono anche dedicato negli ultimi anni: ho trasferito “a bordo” di questi mezzi il lusso e le logiche di uno yacht, riscontrando un grande successo al salone di Dusseldorf dello scorso settembre.
PM – Le figure professionali giocano un ruolo fondamentale non solo nel mondo nautico. Quanto conta l’esperienza e quanta importanza ha, in questo settore, conoscere le barche?!
Sicuramente la conoscenza dell’oggetto barca è molto importante: lo yachting richiede una consapevolezza maggiore, rispetto ad altri settori, delle problematiche e delle necessità che ruotano intorno al progetto. Nel caso in cui il professionista coinvolto non abbia esperienza sufficiente, quel che raccomando anche ai giovani che si avvicinano a questo mondo è ascoltare, perché l’esperienza degli altri aiuta! Sono convinto che nessun progetto possa essere portato avanti da un solo professionista: servono diverse competenze e intreccio di conoscenze. Sebbene sia noto a molti che architetti e ingegneri non vadano d’accordo personalmente ho avuto sempre molto rispetto e considerazione degli ingegneri, con i quali ho peraltro instaurato negli anni ottimi rapporti. Insieme è stato possibile portare a termine progetti molto difficili e importanti del calibro del Baia One Hundred: i grandi problemi tecnici che sorgono possono essere superati solo con la collaborazione tra le reciproche abilità! Non si può essere competenti in tutto, ecco pertanto che il rapporto tra architetto e ingegnere diventa ineludibile.
PM - Un passato ricco di soddisfazioni, un presente prolifico al fianco della sua socia Francesca Minotti, un futuro tutto da disegnare: se è vero, come lei stesso afferma citando Calvino che “la fantasia è come la marmellata: bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane”… in che direzione andrà la sua fantasia, che certamente poggia su basi robuste?
Da quando Francesca e io abbiamo iniziato a lavorare insieme è nato un doppio legame, lavorativo e sentimentale. Il nostro studio è una grande soddisfazione ma amo guardare sempre avanti e mi piacerebbe spaziare in altri settori. Ho dato molto alla nautica ma non mi piace lavorare per più persone a progetti simili: per come sono fatto, se do il massimo per uno non posso offrire un prodotto altrettanto valido per un altro, specie se un concorrente. La verità, anche se si potrebbe credere il contrario, è che la barca è fatta di pochi, semplici concetti. Ecco perché vorrei lavorare su oggetti diversi e trovare e provare nuovi stimoli.
PM – Carlo Galeazzi ha costruito la sua vita professionale percorrendo la strada più lunga ma forse la più saggia: studio, gavetta, umiltà, pazienza e solo poi esperienza. Cosa consiglia ai giovani che si avvicinano a questo mondo?
Sono un professionista che ama dare spazio ai giovani ogni volta che ne ha l’occasione. Faccio del mio meglio per insegnare loro il più possibile, spigando che la gavetta è un percorso fondamentale. Sostanzialmente non sono molto disposti a farla: oggi manca lo spirito di sacrificio e la consapevolezza che prima di cominciare a lavorare c’è tanto da imparare. Ci vogliono umiltà e pazienza; non bastano lauree e master: accanto ai professionisti si acquisiscono nozioni che non si studiano sui libri perché sebbene possa esserci i talento, come diceva Edison: “il genio è 1 percento ispirazione e 99 percento traspirazione”.
Occorre essere curiosi, guardarsi intorno, spaziare… ma questi discorsi oggigiorno non vengono tanto capiti. Tutti vogliono “tutto e subito”.
PM - Un’ultima domanda: cosa avrebbe desiderato immaginare e disegnare se la nautica non si fosse così naturalmente inserita nella sua vita?
CG - Mi sarebbe tanto piaciuto entrare nel mondo dei trasporti ma forse questo desiderio l’ho già esaudito con le suddette contaminazioni, che fanno ormai parte del nostro studio nell’appassionante “travaso” che da qualche anno caratterizza il nostro lavoro.
Non ho particolari sogni nel cassetto: ho avuto una esperienza lavorativa di successi e soddisfazioni tali da non farmi sentire il bisogno di altri sogni. La mia filosofia di vita mi porta a essere soddisfatto di quello che ho fatto e faccio ancora oggi. Negli ultimi anni forse la visibilità del nostro studio è stata minore, sarà perché lavoriamo prevalentemente con cantieri esteri, diversamente dal passato, quando la nostra attività era concentrata quasi tutta in Italia. Questo un po' mi dispiace e non posso fare a meno di domandarmi il perché… ma la risposta è che probabilmente nel nostro Paese la visibilità e il clamore giocano un ruolo importante: il mondo nautico è molto piccolo e ristretto ma ritengo che la direzione del nostro studio sia stata e sia tutt’ora quella giusta, perché le esperienze vissute, le abilità mostrate e la sapienza accumulata navigano nei mari di tutto il mondo e sono la miglior testimonianza di chi sono e di tutto quello che ho fatto.
Priscilla Baldesi