Evoluzione dello yachting e responsabilità del marketing

Evoluzione dello yachting e responsabilità del marketing

Evoluzione dello yachting e responsabilità del marketing, il parere di Angelo Colombo

Editoriale

18/02/2025 - 07:55

I nostri editorialisti, Massimo Franchini, Giacomo Giulietti, Michele Ansaloni e Roberto Franzoni, hanno affrontato e discusso dalle colonne di PressMare un tema molto interessante, quello del marketing, della sua influenza sul mercato e sulle nuove barche. Abbiamo chiesto anche ad Angelo Colombo, altro opinion leader del settore nautico che firma sul nostro media, di dare il suo apporto alla discussione.

"Colgo l’invito del direttore di PressMare a dire la mia sulla questione “Evoluzione dello yachting e responsabilità del marketing”. Chi mi ha preceduto ha offerto già spunti di riflessione di grande valore, ma del resto visti i nomi di chi si è espresso in merito non poteva essere altrimenti.

Posso pertanto aggiungere solo alcune considerazioni personali cercando di non cadere nella trappola di chi è messo all’angolo accusato di essere un conservatore, primo perché non è così, secondo perché sono convinto che ci sia sempre una via di equilibrio tra il progresso tecnologico che fa bene e quello che, forse, proprio progresso non è.

Parto da lontano perché mi aiuta a seguire il filo logico di quanto ritengo utile alla discussione, da quando bambino andavo girando per i porti con mio padre, anche lui appassionato, e mi faceva vedere barche oggi ritenute “da bagno”, ma che allora erano per me quasi dei transatlantici. Ricordo in particolare un Cantieri di Pisa di proprietà di un suo conoscente, un Kitalpha 15 poco più giovane di me allora, credo avesse una decina di anni, poi un Baglietto ancora più datato, di un altro suo conoscente.

Kitalpha 15 Cantieri di Pisa, fonte Nautipedia

Queste le uso come esempio solo perché erano più o meno delle stesse dimensioni e a me sembravano delle navi, avevano entrambe più di dieci anni di mare sulla chiglia eppure, erano belle, ai miei occhi moderne e tenute con cura. Le guardavo come si fa di fronte a qualcosa che ci attira per la sua grazia estetica, per la tecnologia necessaria per costruirle e la cura di tante mani sapienti capaci di dare forma al legno, eh sì erano di legno. Vorrei che lo yachting fosse ancora fermo agli anni ’60 quando quelle due barche e anche io, siamo stati concepiti? No, ma credo che in più di mezzo secolo di cose ne siano cambiate tante, non solo nei processi costruttivi e nei materiali, ma soprattutto nell’interpretazione del mezzo barca. Mentre con mio padre andavamo a trovare i suoi conoscenti a bordo di barche per me da sogno, noi navigavamo a motore su un open costruito dal cantiere Oceania di proprietà di un suo vecchio amico, a vela su un Vaurien.

Il Vaurien, fonte FIV

Certo erano gli anni ’70, oggi tutto è cambiato e non sempre in meglio. Se penso agli sviluppi tecnologici immagino l’open costruito dall’amico di mio padre pesare almeno il 40% in meno, essere molto più efficiente e anche comodo, e non voglio parlare del motore. Se penso al Vaurien sul quale sono cresciuto aspettando di poter uscire con barche come l’FD, il 470, lo Strale, il Finn, mi rendo conto che anche la vela ha subito uno sviluppo davvero straordinario. Questo mi piace, dico davvero, quello che non mi piace è che al corrispondere di un sano sviluppo tecnologico non sia corrisposta una sana democratizzazione dell’oggetto barca, vale a dire una sana riduzione dei costi di produzione e gestione che permetta a un popolo, quello italiano, che vive praticamente sul mare, di avere accesso in modo semplice alla nautica. Per un periodo mio padre ha avuto due barche, ma girava con una vecchia Renault 4, perché le sue risorse gli permettevano di dare sfogo alla sua passione per il mare ma certo non girando anche con auto di lusso. La domanda è: oggi che la nautica, come tutti i comparti industriali, ha vissuto un grande sviluppo tecnologico è altrettanto “popolare”? Non credo, però ha coinvolto per moda o per costume, sempre più chi ha accesso a risorse decisamente più consistenti del cittadino medio.

Veniamo al marketing. Al corrispondere di uno sviluppo simile, come quello che ritengo di aver osservato in questi 50 anni di frequentazione del mondo del diporto nautico, il marketing ha seguito e forse addirittura stimolato, l’immagine della barca come un oggetto esclusivo, per pochi, l’oggetto del desiderio che se raggiungi sei un uomo arrivato e se la cambi per una più grande, questo racconta la tua crescita. Tutto vero, per carità, non potrebbe essere altrimenti, ma non è solo questo. Il marketing si esprime al meglio e credo anche in modo efficace, nelle strutture più grandi come i cantieri italiani più importanti, dove il messaggio è realmente diretto a un pubblico selezionato, dove è fallace a mio modesto avviso, è nella moltitudine di proposte che si rivolgono “quasi” alla casalinga di Voghera alla quale vendere il fustino di detersivo che menzionava l’amico Beppe Franzoni. Ecco, se devo trovare una colpa del marketing nello yachting, la prima che rilevo è quella di essersi strutturato spontaneamente solo dove il mercato è di lusso. La causa? Mi sembra banale il solo scriverlo, ma è certamente dettata dal fatto che il mercato, grande molto più di quanto molti siano disposti ad ammettere, delle barche oggi considerate piccole, da bagno, per l’uscita giornaliera etc., sia rappresentato da aziende spesso familiari, poco strutturate al loro interno e incapaci di organizzarsi in consorzi o associazioni dove tra i servizi spicca anche un marketing condiviso. I messaggi sono sempre gli stessi, riferiti al prodotto o alla singola azienda, destinati a durare il tempo di un periodo solare.

Ritengo che il marketing faccia il suo mestiere, o meglio quello di chi lo esercita, quindi segue le direttive dei vertici aziendali e i suoi programmi, ed è giusto così, non credo abbia colpe. Se di colpe si può parlare queste sono a mio avviso maggiormente riferite alla visione generale di una nautica esclusivamente elitaria, complici i mutamenti sociali ed economici, ma anche una certa incapacità di guardare possibilità di mercato ritenute meno interessanti e per questo affidate ad artigiani, piccole imprese e singoli avventurieri. I cambiamenti richiedono adattamento, e sempre a mio modesto avviso, in molti casi il modo più efficace per affrontarlo è quello di mettere da parte un po’ di ego e dare spazio a ipotesi di collaborazione tra piccole aziende, ottimizzando i costi, razionalizzando maggiormente la produzione, facendo economia di scala.

Chiudo tornando all’inizio, ossia, le due barche sulle quali sognavo da bambino erano tanto diverse nella forma quanto simili nel concetto di base, erano attraenti perché costruite per essere solo dei mezzi idonei a far viaggiare e ospitare l’uomo in mare, erano barche. Oggi il marketing prima o il design prima di lui, difficile capire chi stimola l’altro a volte, si sono spinti spesso su lidi dove l’effetto villa prevale sull’effetto barca, dove la funzione prevalente non è navigare, ma stare comodi e avere tanto spazio, il marketing spinge molto su questo, il design non è da meno. Il risultato sono mezzi che per quanto ci si sforzi alla fine si somigliano un po’ tutti, spesso è difficile comprendere che barca è quella che s’incontra in mare fino a quanto non arrivi a portata ottica di logo sul montante del roll-bar. In alcuni casi certi concetti sono stati talmente estremizzati che la barca è sì riconoscibile a distanza, ma forse sarebbe meglio che non lo fosse. Questo per dire che com’è avvenuto in altri settori, quello automobilistico ne è un esempio, si è arrivati a un’omologazione di forma molto spinta.

La colpa di questo è il marketing? Non credo, nelle auto come nelle barche, il marketing si adegua e restituisce risposte a ciò che si aspetta il mercato possa accogliere con favore in nome e per conto delle esigenze di crescita dell’azienda. Il problema, forse, è da ricercare nell’interpretazione dell’oggetto barca del pubblico. 

Se voglio comprare una Porsche cerco determinate cose, ma se me la proponi elettrica quelle cose non le trovo, e oggi veniamo a sapere che l’intero reparto dedicato a queste auto è stato licenziato dall’azienda tedesca. Ovviamente da questo discorso sono fuori i grandi yacht, che vivono tutta un’altra storia, in termini tecnici, di marketing, di sviluppo e commerciali. Ma le barche “per quasi tutti”, hanno subito uno sviluppo irreale, perdendo di vista il vero potere d’acquisto dei “quasi tutti” e portando un 10 metri a essere per pochi.

La colpa è del marketing? Non credo, penso più all’incapacità di adattamento di un tessuto produttivo rimasto ancorato su modelli non più percorribili, vuoi per i costi di gestione e delle materie prime, vuoi per un confronto sul mercato sempre più selettivo. Del resto se in passato abbiamo visto unirsi in Gruppi i produttori di marchi blasonati, perché questo non dovrebbe accadere anche con marchi di prodotti meno nobili ma importanti nel calcolo del totale del PIL prodotto dal comparto nautico? Quanta capacità di ricerca e sviluppo all’interno della propria struttura ha una piccola S.r.l. o una S.a.s? Oggi la partita si gioca su questi temi, non solo sulla forma del T-Top o della spiaggetta, oggi il confronto si fa sulla capacità di produrre mezzi avanzati tecnologicamente a prezzi adeguati, sulla possibilità di aggiornare agilmente i modelli dunque, avere accesso a strumenti che permettano la prototipazione a basso costo, tanto per fare degli esempi, ma potrei citare numerose altre circostanze nelle quali è necessario investire in ricerca e sviluppo.

Materiali, tecniche di lavorazione, fornitori condivisi etc., ma tutto questo trova un limite nella tradizionale personalizzazione delle aziende di cui l’Italia soffre, però, se ci sono riusciti marchi importanti come quelli che costituiscono oggi i grandi gruppi, perché non dovrebbero riuscirci marchi più piccoli? Alla fine il mercato è e deve rimanere libero e detta le sue leggi, che possiamo riassumere in un concetto semplice: lo compro, non lo compro, come ha fatto con la Porsche elettrica.

Un’ultima considerazione vorrei dedicarla alla riflessione finale di Beppe Franzoni, perché non credo che il mercato sia saturo, come non credo che il risultato di questo sia la conseguente saturazione di porti e località costiere. Credo non ci sia stato un necessario adeguamento infrastrutturale in molte aree dove questo è un’opportunità da cogliere. Se le zone dotate d’infrastrutture sono sempre le stesse ma negli anni il numero delle barche è aumentato come le larghezze di ogni singolo natante o yacht, direi che l’affollamento era ampiamente prevedibile, l’errore è non averlo gestito. Hai menzionato la Sardegna dove vivo da un po’, da quanto basta per capire che è una regione con un potenziale di sviluppo nautico straordinario, oggi concentrato a Nord Est, dove sono presenti infrastrutture a terra e in mare, ma che può diventare una delle tappe e non la tappa. Su questo sta lavorando alacremente la Rete dei Porti della Sardegna per esempio, il problema è connesso anche con la forte stagionalità del diporto, ma anche qui, siamo certi che non si possano cambiare le cose? Io credo di sì, partendo dai trasporti e dall’offerta di ricettività turistica, assicurati per periodi molto più lunghi.

Per concludere, concordo pienamente con l’analisi di Michele Ansaloni, sulla necessità di educare il pubblico a vedere le barche come oggetti tecnologici con tutte le loro variabili di materiali, caratteristiche e possibilità di reale utilizzo. Concordo anche con Giacomo Giulietti quando dice che il marketing è solo uno strumento, come una forchetta, se me la ficco negli occhi non è colpa sua. Altrettanto evidente dal pensiero che ho espresso fin qui è che sono d’accordo con Massimo Franchini sulle sue considerazioni finali sull’utenza, incapace di esprimere “domande chiare e bisogni reali”.

C’è sicuramente un limite della nautica in termini di comunicazione, ma non è quello del marketing, è quello di come e dove la nautica comunica. Curiosamente, pur essendo un fenomeno diffuso, importante ai fini economici nazionali, la nautica non ha mai trovato il giusto spazio sul mainstream se non per eventi specifici che nulla hanno a che fare con il messaggio: “navigare è bello e si può fare, soprattutto se hai la fortuna di vivere in un posto con un clima mediamente favorevole, coste oggetto d’interesse degli appassionati di tutto il mondo, i cantieri più famosi del pianeta, una tradizione marinara consolidata”. Ecco, riprendendo il discorso di Massimo Franchini ma anche di Michele Ansaloni, direi che a mancare sia un canale d’informazione dedicato, capace di trasferire quella conoscenza di base che possa aiutare a capire cosa è una barca, a cosa serve davvero, quali sono le caratteristiche che più di altre hanno reale valore in mare, dunque, che porti il pubblico ad avere un quadro chiaro dal quale elaborare autonomamente la sua barca ideale. Tanto sappiamo tutti che la barca ideale in assoluto non esiste, non vorrei scomodare Pirandello, ma forse ne esiste giusto qualcuna in meno di quanti sono coloro che vogliono andare per mare."

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